Ha fatto scalpore, e dunque è stata ripresa da numerosi quotidiani italiani, la notizia relativa all’intervento di Barak Obama sulla scuola: stipendi basati sulla performance degli insegnanti, scuole più indipendenti dai sindacati, raddoppio dei finanziamenti, anno accademico più lungo.
In tema di scuola (a differenza di altri temi, come ad esempio la bioetica) il presidente statunitense pare che abbia le idee abbastanza chiare e che consideri essenziale la riforma dell’istruzione per salvaguardare la leadership economica degli Stati Uniti: «La posta in gioco è troppo alta – ha dichiarato –. Non ci possiamo permettere nient’altro che il meglio per i nostri figli. E questo vale per i loro insegnanti e per le loro scuole».
Fin qui tutto ok, salvo la prevedibile gelida reazione dei potenti sindacati degli insegnanti, contrari da sempre al criterio meritocratico; cori di assenso trasversali, invece, non solo da molti riformatori, democratici e repubblicani americani, ma pure dai nostrani censori, che pure sono sempre sul “chi va là” quando si tratta di mettere mano al fatiscente sistema di istruzione del nostro paese.
Quello che però pochi hanno sottolineato, è come il presidente americano intende spendere i soldi per l’istruzione. Alla proposta di raddoppiare i finanziamenti per l’istruzione, è legata infatti quella di aumentare il numero delle cosiddette “Charter schools”, uno dei più interessanti fenomeni di rinnovamento della scuola americana degli ultimi vent’anni: si tratta di scuole pubbliche a gestione privata che, benché obbligate a rispettare determinati obiettivi sulle performance degli alunni (pena il ritiro dei finanziamenti pubblici), tuttavia sono meno soggette al rispetto delle regole imposte per il sistema di istruzione elementare e secondario.
Una scuola charter è – come spiegava Luisa Ribolzi in un articolo dello scorso anno (ilsussidiario.net, 21 maggio 2008) – «una scuola di pubblica scelta, indipendente, libera quanto alle regole ma affidabile quanto ai risultati: in quanto pubblica, è aperta a tutti, gratuita (finanziata fino all’80% del costo delle scuole di distretto con i soldi delle tasse), e deve rendere conto dei risultati che raggiunge sia ai propri utenti che allo stato».
Una scuola charter può essere aperta da un gruppo di insegnanti o di famiglie, da un’associazione, un’università, perfino da una scuola di distretto che decide di trasformarsi in charter, e viene autorizzata dalle autorità locali per mezzo di un decreto (la chart, appunto) sulla base di un progetto validato da un ente, di solito un’università. L’autorizzazione ha una scadenza (di solito cinque anni) in capo alla quale, se non ha mantenuto gli impegni presi con gli utenti e con lo stato, la scuola viene chiusa.
Le qualità più apprezzate dai genitori sono soprattutto la sicurezza (molte charter operano in quartieri difficili), la possibilità di scegliere liberamente il progetto della scuola, e i migliori risultati ottenuti, come nel caso della Urban Prep Charter Academy di cui trattò a suo tempo l’Economist, esplicitamente finalizzata a promuovere la preparazione accademica dei ragazzi meno favoriti.
La maggior parte delle scuole charter non è certo di élite quanto all’utenza, prevalentemente composta di ragazzi afroamericani, latino americani e bianchi poveri, ma lo è quanto ai risultati ottenuti, grazie alla personalizzazione dei progetti, all’impegno dei docenti e all’utilizzo intensivo di tutor e tecnologie dell’informazione.”
Perrché dunque Obama vuole aumentarne il numero, sfidando i potenti sindacati degli insegnanti, ovviamente contrari alle charter schools? E’ semplice: il successo di queste scuole è incontrovertibile, centinaia di migliaia di studenti americani sono in lista d’attesa per poterle frequentare, ed è pertanto un dato di realtà cui occorre guardare per decidere da dove e come ripartire, perché, come ha detto lo stesso presidente, «il sistema scolastico d’America torni ad essere l’invidia del mondo intero».
Esattamente quello che occorre anche in Italia: ripartire da ciò che già c’è e dimostra di funzionare. Qualche segnale in questa direzione pare cominci ad esserci se, come ha dichiarato il Ministro Gelmini nel recente messaggio inviato al Convegno della CdO Opere Educative, saranno davvero «recuperati i fondi mancanti in Finanziaria a favore delle scuole paritarie anche per i prossimi anni» e, soprattutto, si manterrà «l’impegno a defiscalizzare tutte le spese per le rette e le doti nell’arco della legislatura».
Andiamo anche noi, dunque, verso un rinnovato sistema scolastico con un maggiore protagonismo delle famiglie e della società civile? E’ presto per dirlo. Per ora di questo, sulla maggior parte dei quotidiani di “casa nostra” non c’è traccia… Ed è ovvio: le charter schools somigliano troppo – pur nella diversità – alle nostre scuole paritarie; e certamente non si può sostenere Obama fino a questo punto.