Il Gruppo di lavoro presieduto dal professor Israel, insediato pochi mesi fa dal ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, ha prodotto un ampio documento, i cosiddetti “5 punti”, oggi pubblicato sul sito del MIUR. I “5 punti” offrono una risposta ad alcuni nodi relativi alla formazione iniziale dei docenti in vista dell’elaborazione di un regolamento che possa, rapidamente, colmare il vuoto dovuto alla chiusura delle SSIS e offrire una strada certa per la formazione iniziale (e occorre sottolineare la parola “iniziale”, perché forse non c’è professione al mondo il cui sentiero, per parafrasare Jorge Machado, si “crei camminando”) dell’insegnante.



Su quel documento si è aperto un dialogo con il mondo della scuola, proprio perché, se il Gruppo di lavoro ha fatto tesoro degli anni di esperienza SSIS (con le sue ombre e le sue luci)  e ha definito un percorso che ha sostanzialmente equilibrato la necessità di una forte preparazione disciplinare con i necessari strumenti pedagogici, è solo dalla “comunità educante” che possono venire indicazioni utili a trasformare il “sapere” in un compiuto “saper fare”.



Per questo, a partire dalla riunione del Forum delle associazioni professionali del 24 di febbraio, si è aperta una fase di confronto che possa  affinare l’architettura del futuro regolamento, soprattutto sul versante dell’anno di tirocinio. Il confronto non è semplice, perché si tratta innanzitutto di cercare di far parlare mondi con linguaggi diversi. Ne è esempio la polemica sui “crediti formativi” da trascorrere direttamente sul campo, piuttosto che la preoccupazione che la specializzazione possa precludere gli eventuali passaggi da un ordine di scuola all’altro. Campi questi certamente perfezionabili, ma che nelle pieghe dei documenti trovano già una risposta. Certo, 12 crediti su 60 possono sembrare pochi, ma se si bada al fatto che ognuno di essi vale 25 ore da trascorrere “sul campo”, mentre i crediti relativi all’insegnamento frontale prevedono di trascorrere in aula, a seconda delle università, dalle 6 alle 9 ore ciascuno, la questione cambia aspetto. Così come la legge 270, che regola oggi l’ordinamento dei corsi universitari, permette ampie passerelle per cambiare percorso e la possibilità per lo studente, già durante il suo iter universitario, di  percorrere le strade che consentano, un domani, il passaggio da un livello a un altro.



Detto questo, ci sono suggestioni importanti che possono venire dal mondo della scuola, e lo dimostrano alcune proposte di Fabrizio Foschi, sulle quali il confronto è aperto. Soprattutto l’anno di tirocinio attivo formativo va progettato accuratamente, ponendo grande attenzione alle sue modalità, alla scelta delle autonomie scolastiche e degli insegnanti tutor, ad arare il terreno di un incontro reale tra scuola, università, futuri docenti. I quali non dovranno essere né passivi spettatori, né mano d’opera a costo zero. Dovranno poter “toccare i fili” e magari anche prendere la scossa, ma con qualcuno pronto a “togliere la corrente”. Soprattutto, occorre creare dei ponti di dialogo stabili tra scuola e università. E il tentativo è ambizioso. Per riuscirci, occorre evitare che, da una parte e dall’altra, ci si trovi nella situazione di padre Cristoforo (quando ancora si chiamava Lodovico) descritta nel IV capitolo dei Promessi sposi: non è il caso di venire alle spade per decidere chi debba lasciare spazio all’altro sul marciapiede, rischiando di lasciare sul selciato il cadavere del futuro dei giovani docenti. Guardare alle cose aiuta e agli obiettivi. E la “cosa” è l’infrastruttura del sapere, la più importante infrastruttura italiana.

Se il sentiero si crea camminando, insieme si può crearlo meglio.