L’ora di religione nelle scuole superiori: un momento morto o una stimolante occasione di confronto? L’interrogativo teorico potrebbe generare un dibattito astratto; meglio allora parlarne con chi all’insegnamento di questa difficile materia ha deciso di dedicarsi in prima persona, nonostante i tanti impegni in altri campi. Andrea Monda è giornalista e scrittore; ma insegna anche religione cattolica a centinaia di studenti di un liceo classico romano. Gli abbiamo chiesto quale è il suo approccio alla materia e ai ragazzi, ma soprattutto se quest’ora può veramente essere valorizzata e fatta apprezzare nel modo giusto agli studenti.
Laureato in giurisprudenza e in scienze religiose, giornalista, scrittore e… insegnante di religione. Professore, perché questa scelta di calarsi nella realtà scolastica andando, tra l’altro, a proporre una delle materie più contestate?
Difficile rispondere, difficile spiegare. Non l’ho fatto “a tavolino”. La mia è stata un’esperienza simile ad un innamoramento e a un matrimonio, tutte cose che “a tavolino” non esistono o non funzionano. Non so se il mio funziona ma, per ora, esiste. Lavoravo in banca e mi sembrava tutto molto utile, soprattutto al mio portafoglio, ma quindi molto triste. Avevo fame di qualcos’altro. E quindi mi sono messo a studiare. E poi sono andato a “studiare” la cosa più interessante del mondo: altri esseri umani, i giovani. Vado a scuola per apprendere più che per studiare, facendo così mi diverto di più. La materia che ho scelto non è una materia e non l’ho scelta: è stata lei che ha scelto me, un po’ come mia moglie ha scelto me e l’amore ha scelto me e mia moglie. Ho studiato scienze religiose per capire di più ciò in cui credevo, mi sono sentito spinto a farlo, senza domandarmi il perché. Ed ora mi trovo a continuare a studiare perché non c’è occasione migliore dell’insegnamento per conoscere qualcosa: quando sei costretto a insegnare è la volta buona che ti metti a studiare!
Quale è oggi l’utilità e la bellezza dell’insegnamento della religione cattolica?
Utilità molta: come si fa a comprendere il passato, il presente e il futuro della società contemporanea senza saperne di più del cristianesimo, della sua cultura, della sua arte? Bellezza ancora di più: se fosse solo utile, non sarebbe bella, non sarebbe viva. La bellezza nasce dall’incontro con i ragazzi, che sono la cosa più “nuova” che esiste, e la bellezza spesso risiede proprio nella novità.
Lei da sempre provoca gli studenti al confronto, invitandoli a dare ragione delle loro posizioni, dei loro giudizi. Cosa constata da tutto ciò? Quali sono i bisogni e le esigenze, anche inconscie, dei giovani studenti?
I giovani desiderano essere accolti, ascoltati, amati. Questa davvero non è una novità. Non vogliono informazioni, ma formazione. Vogliono affidarsi a qualcuno di affidabile. Non ne trovano e quindi diventano timorosi, sospettosi, fragili. Vogliono anche dei “no”, fa parte della costruzione del rapporto e della crescita, di quella “affidabilità”, “credibilità” di cui sono alla ricerca. Sono ragazzi che hanno molte cose, che vivono nella società delle comunicazioni e delle immagini e quindi sanno molto cose (o presumono di saperle) e, paradossalmente, hanno una immaginazione depauperata. Pensano di sapere molto e non immaginano molto, non desiderano molto (a livello profondo), vivono la desertificazione del desiderio. Tutto questo li espone drammaticamente alla Noia, che rischia di divorarli. A fronte di tutto questo rispondono “a due livelli”: in superficie cercando sicurezze (spesso false), in profondità cercando la Gioia, qualcosa per cui valga la pena vivere. Se si accontentano delle “sicurezze” allora vivono come la vita come una serie di esperimenti, superficialmente, finendo per alimentare quella noia che li attanaglia e rendendo ancora più fragile la loro capacità e la loro fiducia nelle relazioni. Se sono stimolati a non accontentarsi, a non rassegnarsi, vincono la pigrizia che porta al cinismo e si abbandonano alla vita come avventura e vera esperienza, non esperimento. Lo stimolo spetta a me professore, a me genitore, a me operatore culturale e impegnato nelle comunicazioni, a me amico. Senza amicizia e senza relazioni non si costruisce niente, solo solitudine, fragilità, tristezza.
Per avvicinare gli studenti alla concretezza del fatto cristiano ha spesso portato ad esempio, tra gli altri, la vicenda del Signore degli Anelli. In cosa consiste tale raffronto?
Il Signore degli Anelli è un inno alla “compagnia”, all’amicizia, al vivere insieme, animati da gusto dell’avventura, saldi nel coraggio e nella fede nella Provvidenza. Molti ragazzi conoscono il romanzo ma non ne avvertono la trama cristiana che corre sottotraccia. Proprio per rispondere a quelle esigenze che sopra ho indicato, quelle domande che nascono dai ragazzi, provo a stimolare la loro immaginazione mostrandogli buona letteratura e buon cinema, attraverso opere d’arte che rivelano in controluce un bagaglio di valori e principi umani e cristiani che risveglino la “meraviglia” nell’animo del ragazzo. La meraviglia è un sentimento radicale, fondamentale nell’uomo, sin da bambino. Se si perde la capacità di meravigliarsi si intraprende un cammino duro, triste e solitario, arido. Lo diceva Aristotele (la filosofia nasce dalla meraviglia) e lo ricorda Chesterton: «il mondo non finirà per la fine delle meraviglie, ma della meraviglia».
Dinanzi ai giovani che spesso intendono la libertà “di” e “da”, lei nelle sue lezioni parla e punta sulla libertà “per”. Di cosa si tratta?
I ragazzi hanno appreso la lezione delle generazioni passate sull’importanza della libertà. Purtroppo spesso riducono la libertà a “libertinismo” o a mera auto-determinazione, la libertà “da” e la libertà “di”: niente costrizioni dall’esterno e autonomia assoluta verso qualsiasi azione. Voglio essere libero, lasciato libero di fare quello che sento di fare (questa è la versione “sentimentale” della libertà). Secondo me non basta, ma porta anzi al rischio dell’isolamento in se stessi. Per diventare davvero liberi bisogna amare, cioè servire, obbedire, a qualcosa, a qualcuno. Cioè bisogna investire, spendere la propria libertà “per” qualcuno. Così è nel rapporto di coppia: finché si prende dall’altro senza dare niente non può nascere un rapporto stabile, ma solo occasionale. Quando si comincia a dare, a dare se stessi, totalmente, all’altro, allora può nascere una relazione profonda, che dà forza, felicità, vera libertà. E’ paradossale ma è così: dando la propria vita per amore equivale a ricevere una vita nuova, in abbondanza. Qualcun altro lo ha detto prima e meglio di me, circa 2000 anni fa.
Quale è la risposta degli studenti al suo metodo didattico?
In genere molti si incuriosiscono a me e alle mie lezioni e molti mi riconoscono un alto grado di “libertà”, cioè di “laicità”, nel senso che cerco di non indottrinare nessuno ma stimolo tutti ad un confronto serio, serrato, leale. Io cerco di usare e di fare appello alla ragione, perché so che la fede, la mia e quella degli altri, è un dono di Dio, che non può essere forzato. In questo sono un convinto assertore di quanto dice il Papa: la fede non si impone ma si propone alla libertà dell’altro.
Ci dica la sua ricetta per non far morire l’ora di religione, dunque per valorizzarne concretezza ed efficacia.
Ripeto quanto detto all’inizio: vado a scuola per apprendere più che per studiare, facendo così mi diverto di più. Ai ragazzi interessa la persona del professore, più che le sue parole, la sua motivazione prima ancora della sua competenza (che pure esigono). Se un professore si diverte, si appassiona, è motivato, farà nascere passione e motivazione anche negli studenti. Quando mi rendo conto che mi sto annoiando, vedo subito di correre ai ripari e mi impegno verso la gioia, l’allegria. Spero solo di non perdere la capacità di rendermi conto; detto questo non c’è una vera ricetta, le cose belle e durature nascono dal “basso”, dall’apertura e l’accoglienza dell’altro, le mie lezioni nascono dagli studenti, sono loro i veri “maestri”. E’ insieme che bisogna camminare, impresa ardua e difficile, ma io amo solo le sfide difficili, quelle facili mi annoiano.
(Marco Fattorini)