Le immagini e i racconti del terremoto in Abruzzo che abbiamo seguito durante questa settimana attraverso i giornali e la televisione mi hanno fatto rivivere e ritornare alla mente i luoghi, i volti, i fatti, l’esperienza che ho vissuto durante il terremoto in Friuli. Sembra impossibile, ma le esperienze forti si affievoliscono e quando meno te lo aspetti tornano fuori. E’ stato come il ripetersi di un film. Sono riaffiorate le sensazioni di paura e di angoscia che avevo vissuto e che ho rivisto nei volti della gente d’Abruzzo. La mia mente è andata ai primi momenti di smarrimento, di angoscia, di incertezza per il futuro che avevo vissuto io anche se, fortunatamente , non abitavo nelle zone direttamente colpite dal sisma. Ma anche la città di Udine era diventata una enorme tendopoli. E’ stata perciò immediata la vicinanza con gli amici dell’Abruzzo che stanno vivendo la stessa situazione.
Mi viene spontaneo però andare oltre a questo dramma perché dopo il primo momento di smarrimento, la prima emergenza un popolo guarda le sue ferite e si domanda: da dove ripartire? cosa fare? come continuare? come ricostruire?
Ci sono dei capisaldi irrinunciabili a cui guardare per ricostruire materialmente i luoghi fatti di storia e di tradizione di un popolo che li ha creati e lì ha vissuto. In primo luogo questa gente non si deve disperdere, ma deve essere aiutata a mantenere viva la sua identità, anche attraverso la ricostruzione materiale degli edifici crollati. Come ad esempio il Duomo simbolo della città come è stato per il Duomo di Venzone ricostruito “pietra su pietra” numerando le pietre oppure l’antico Borgo come è stato per il centro storico di Gemona del Friuli spendendo il 20% in più per consolidarla in chiave antisismica ma dove i vecchi hanno ritrovato le loro case e si riconoscono.
In secondo luogo passata la solidarietà della prima emergenza queste persone non devono essere abbandonate ma sostenute ed accompagnante a riprendersi in mano la loro vita.
In questi giorni ho ripensato a cosa è voluto dire per me l’esperienza del terremoto, ma anche l’impegno di volontariato tra la gente di Gemona del Friuli assieme a tanti amici venuti da ogni parte d’Italia che per due anni si sono avvicendati nei vari campi. La solidarietà era concreta, immediata, eri lì per sostenere, per aiutare, per una compagnia alla gente in particolare ai bambini ed agli anziani che erano sconvolti dal dramma. L’attività consisteva nella gestione del “doposcuola”, in vari interventi di servizio sociale, nonché in forme di aiuto manuale (recupero di mobili, lavoro agricolo, ecc..). Il doposcuola era una attività molto richiesta. Infatti i genitori, date le circostanze, avevano meno tempo del solito da dedicare ai bambini ed ai ragazzi ed inoltre le case e le macerie diventavano sempre più spesso un pericoloso campo di gioco per questi giovanissimi rimasti in anticipo con molto tempo libero.
Il tendone dove si svolgeva l’attività del doposcuola era luogo di aggregazione anche per feste, assemblee, di semplice punto di incontro per gli anziani che non sapevano più dove ritrovarsi.
Così come per il terremoto in Friuli, anche in Abruzzo, dopo il terribile momento del terremoto materiale ci si trova davanti ad una cultura minacciata, ad un vero disastro spirituale. Aiutare a salvaguardarla e recuperarla è un vero compito ideale più impegnativo della ricostruzione materiale. In Friuli questo tentativo è avvenuto nei due anni di presenza semplice e discreta con le varie attività educative svolte sotto le tende e che continua oggi attraverso l’Opera della “Cooperativa Scolastica Scuola Nuova” aperta il 30 settembre 1976, dopo la terribile scossa del 15 settembre, a Tarcento da don Antonio Villa, creatore e tuttora responsabile.
Sono convinta che in questi momenti e chissà per quanto tempo ancora la gente d’Abruzzo ha bisogno di una testimonianza visibile, di unità fraterna e quindi capace di accoglienza che si concretizza anche attraverso luoghi concreti di aggregazione come i campi e i doposcuola sotto le tende da dove può ripartire una speranza.
Scriveva il giornalista Robi Ronza nel suo libro Friuli dalle tende al deserto?: «E’ solo a partire da una concreta realtà di questo genere che diventa possibile affrontare i veri problemi tecnici posti dal terremoto in uno spirito di autentico servizio e non di sopraffazione; così come pure è solo a partire da una realtà del genere che i cristiani possono dare alla soluzione dei comuni problemi civili un contributo che non contraddica o sacrifichi la loro identità».
Questa solidarietà umana è quella che è rimasta nel tempo ed ha generato rapporti ed amicizia vera.
Ora più che mai per noi e per gli amici d’Abruzzo è vero e concreto l’appello sull’educazione promosso nel 2005 da personalità del mondo della cultura e dell’economia ‘se ci fosse una educazione del popolo tutti starebbero meglio’ed in particolare l’affermazione: «Educare, cioè introdurre alla realtà e al suo significato, mettendo a frutto il patrimonio che viene dalla nostra tradizione culturale, è possibile e necessario, ed è una responsabilità di tutti».
Ricostruiamo con questo spirito!