L’innegabile valore della pratica

Apprendere il mestiere “a bottega”  (E. Ugolini, il sussidiario.net, 8 aprile 2009) è certamente utile, e in molti casi – compreso il caso dell’apprendere la pratica dell’insegnare – è doveroso. Si può affermare che questo livello di apprendimento, quello più vicino all’esercizio della professione, sia una fase che chiunque intenda svolgere un lavoro qualificato, deve sperimentare prima di un esercizio maturo della attività professionale “ordinaria”.



Per un futuro insegnante “praticare” bene, dopo aver acquisito con sicurezza le basi della conoscenza da far apprendere, è un utile esercizio che favorisce un buon “mestiere” e un efficace servizio.

Ogni esperienza che sia orientata a far valorizzare questo passaggio fondamentale nell’avviamento all’esercizio della professione, è da considerare estremamente positiva.



Formazione come percorso articolato a più dimensioni

Esiste, però, una dimensione dell’apprendere che è preordinata alla pratica e al praticantato. Se si volge lo sguardo all’Europa, a quella dove la ricerca didattica sull’insegnamento ha fatto conseguire apprezzabili risultati negli apprendimenti dei propri studenti, e dove sono stati raggiunti traguardi di tutto riguardo nella professionalità e nella ricerca-azione quotidiana sviluppata dagli insegnanti in classe, si potrà notare come la cura della formazione “iniziale” sia un’attenzione che va oltre la “bottega”, o meglio, che viene prima della “pratica”: che pratica mentre apprende, in una prospettiva di ricerca, basata sull’integrazione fra dimensione teorica e dimensione tecnico-pratica (professionalizzante) dell’insegnamento.



Le competenze di un insegnante sono complesse e articolate: egli deve dimostrarsi esperto nella disciplina e nelle tecniche specifiche della professione, ma deve anche saper gestire un vasto repertorio di pratiche professionali. Da un lato, si esige che egli sia flessibile e facilmente riconvertibile, dall’altro deve saper prendere decisioni rapide in contesto e saper migliorare, sulla base di ciò, l’efficacia degli interventi formativi. Non sono competenze che possono basarsi solo su una robusta preparazione disciplinare affiancata in successione temporale dalla pratica d’aula affidata ad un docente anziano, ed esperto, della scuola.

È vero che l’esperienza fatta in questo ambito, è quasi sempre stata positiva e ha costituito una possibilità importante per il discente, futuro insegnante, e per il docente accogliente (così viene definito nel modello SSIS) con funzioni di tutor e guida alla pratica professionale, ma la funzione formativa di questa fase dell’apprendimento della professione insegnante non può esaurirsi qui.

È necessario, infatti, almeno nella fase iniziale dell’alta formazione all’insegnamento  che si strutturi un percorso integrato e solidamente articolato fra l’ambito disciplinare, quello pedagogico-didattico, quello relazionale e quello organizzativo.

Una costruzione che può materializzarsi solo se la formazione iniziale degli insegnanti, partendo da una sicura, ma non egemonica, base culturale disciplinare – orientata alla dimensione didattica a partire da un punto non troppo avanzato del percorso formativo – riesce a:

A)     sviluppare adeguate competenze di ricerca laboratoriale sulla “tecnica” e sulla “metodologia”;

B)     favorire competenze di osservazione degli spazi operativi che si presentano nella pratica (osservata);

C)     offrire spazi di sperimentazione dell’azione in situazione professionale;

D)     suscitare competenze di riflessione sull’azione sviluppata;

E)     far sperimentare la condivisione e il confronto in un gruppo di lavoro in apprendimento guidato da docenti esperti.

Le competenze e il ruolo dei formatori nel processo

Tutte queste attività, necessarie a costruire quell’alta professionalità in cui si sostanzia l’insegnamento, sono efficaci e significative solo se la loro progettazione, il loro coordinamento con le altre attività didattiche, la guida e la supervisione dei processi da esse derivanti, è affidata a un docente esperto adeguatamente formato alla funzione (l’anzianità nel ruolo non può da sola bastare) che conduce un gruppo di specializzandi/tirocinanti in apprendimento.

Una dimensione dell’apprendere nella quale tirocinio formativo-riflessivo, simulazioni laboratoriali e apprendimenti disciplinari, epistemologici e tecnico-metodologici, in un moto d’apprendimento prima in avanti, dalla teoria alla sperimentazione, e poi a ritroso, dalla situazione al modello, si intrecciano in un continuum esperienziale significativo e coordinato con il percorso di formazione teorica disciplinare. Un legame che va pensato, articolato, ricostruito e seguito nei riflessi che esso ha per l’apprendimento del singolo specializzando nel gruppo in formazione. Questa fondamentale funzione di supervisione e coordinamento è stata svolta nell’attuale modello di formazione degli insegnanti dai supervisori di tirocinio. Un ruolo che non si improvvisa, come ho già sostenuto in un mio precedente intervento, e che richiede professionalità che si costruiscono nel tempo e che devono essere inserite in un ben definito progetto di carriera.

La visione sistemica integrata della formazione degli insegnanti

Il quadro così tracciato delinea una progettazione della formazione iniziale all’insegnamento che segna differenze sostanziali fra una concezione artigianale dell’azione insegnante, basata sostanzialmente sulla trasmissione dell’esperienza individuale del docente di lungo corso all’allievo futuro insegnante, e una concezione professionale altamente qualificata, costruita sulla base della ricerca seguita dalla sperimentazione in situazione, successivamente modellizzata nel gruppo guidato.

Una differenza che rispetto a una dimensione di pratica conseguente alla teoria, dove la tecnica e la pratica quasi si confondono nel praticantato “di bottega”(livello minimo di apprezzamento degli apprendimenti teorici), propone in alternativa una dimensione integrata dell’apprendere una professione, laddove la teoria disciplinare è rielaborata sul piano epistemologico e didattico e viene destrutturata e ristrutturata in laboratorio didattico, per diventare modello insegnabile esperito e monitorato nel tirocinio formativo. In questo modello la “pratica” è dimensione fondamentale ma per così dire “interna” e funzionale all’apprendimento qualificato della professione.

La sequenza prototipica che precede la dimensione della pratica guidata, di avviamento alla professione, che, a ragione, potrebbe intervenire dopo questo imprinting importantissimo di ricerca-azione, non può certo sostituirlo, se si vuole che l’insegnamento finalmente diventi un’alta professionalità che incide profondamente sulla formazione culturale e professionale della cittadinanza.

Un approccio che, così strutturato, può garantire quella cultura dell’insegnante esperto nella disciplina e nella didattica della disciplina, orientato alla riflessione sull’azione e dedito alla ricerca dell’efficacia del suo operato, di cui la scuola ha bisogno.

Un’esperienza importante di valori positivi che rischia d’interrompersi

Il cammino decennale compiuto nelle S.S.I.S. (in via di cancellazione a partire dal prossimo anno accademico) andava realizzando, nelle realtà più virtuose, questo modello sperimentale-riflessivo, che integra formazione disciplinare teorica con sperimentazione laboratoriale e professionale in situazione. Un modello che dopo un faticoso cammino di avvicinamento e adattamento graduale, costellato certo di errori e revisioni – sui quali sembra si siano concentrate in modo esclusivo la attenzioni di certi analisti – aveva portato a punte di competenze professionali in ingresso che facevano finalmente sperare in una professionalità docente riqualificata e capace di motivazione.

Non di rado, nella mia esperienza di insegnante di scuola superiore, di formatore alla professione docente, di supervisore di tirocinio, di docente di didattica e di laboratorio didattico presso le SSIS, ho colto nelle “inesperte” azioni di specializzandi particolarmente consapevoli, attenti e preparati sul piano delle competenze – grazie al fatto di essere parte di questo processo sistemico – una flessibilità nell’adattarsi a situazioni, una prontezza nel trovare soluzioni a problemi dell’ insegnamento/apprendimento, degna dei migliori insegnanti di lungo corso con i quali in questi anni mi sono trovato a collaborare.

L’efficacia degli interventi in campo scolastico, anche relativamente alla formazione degli insegnanti, infatti, si misura sempre attraverso il risultato finale educativo e formativo degli studenti della comunità in apprendimento: persone, cittadini, professionisti da formare.

Dopo la formazione l’inserimento al lavoro: una proposta realizzabile

A questo modello di formazione teorica e laboratoriale con tirocinio formativo-riflessivo può certo seguire, ma non sostituirsi, una esperienza di pratica guidata, dove si affinino le competenze acquisite e dove ci si avvii all’autonomia professionale consolidando e perché no, scambiando i patrimoni fra il docente ricercatore in apprendimento e il docente esperto di lungo corso. L’apprendimento, in queste condizioni è infatti a doppio senso: mentre il più inesperto acquisisce le più efficaci pratiche professionali in uso, l’altro può riappropriarsi della “naturale” dimensione di ricerca della professione docente. Non posso tacere le molte attestazioni in tale direzione ricevute dai docenti che hanno accolto in questi anni gli specializzandi come tutor d’aula.

Segni di una tale impostazione si possono rintracciare anche nella proposta di legge dell’on. Valentina Aprea (n. 953 – Camera dei Deputati – 12 maggio 2008) che attende le decisioni relative alla rimodulazione del modello di formazione degli insegnanti per essere ripresa e adattata in VII Commissione.

Come ANFIS abbiamo riarticolato il modello previsto nel PDL Aprea prevedendo un anno di “inserimento formativo” che segue il completamento del percorso di formazione, nel quale è prevista l’ autonomia del docente in inserimento che viene accompagnato nel primo anno da un docente esperto, interno alla scuola, adeguatamente formato al ruolo.

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In conclusione dimensione “di ricerca” e dimensione “di bottega” non devono essere considerate alternative, ma conseguenti e in certi casi integrabili. Il tirocinio si sviluppa in una dimensione di ricerca, integrata nel percorso di formazione validamente  “iniziale”, in esso si spendono tutte le risorse definenti l’imprinting professionale dell’insegnante, ciò che lo segnerà in modo significativo per i suoi primi anni di attività.

L’insegnamento in Italia, e con esso la scuola italiana, hanno assoluta necessità di recuperare e salvaguardare questa dimensione integrata fra teoria, tecnica metodologica e pratica, fra Università e Scuola nella formazione degli insegnanti. Se si vuole veramente che Scuola e Università collaborino, si parlino, si integrino è necessario creare le condizioni ambientali affinché condividano di più e meglio prospettive, progetti, tempi e risorse umane.

Serve oggi recuperare, da quanto sperimentato in questi ultimi dieci anni, quello che ha funzionato in modo più efficace, soprattutto dove l’integrazione fra Scuola e Università è meglio riuscita; diventa prioritario assicurare che l’esperienza di buone prassi accumulata nella formazione iniziale degli insegnanti possa essere continuata e valorizzata.

Uno sforzo in questo senso è non solo auspicabile ma dovuto: un preciso impegno di responsabilità nei confronti degli studenti, delle loro famiglie, del Paese.



[1] Contributo della SSIS Veneto per la definizione dei nuovi percorsi di formazione iniziale degli insegnanti, marzo 2009
[2] L’impostazione qui data al modello presuppone che si consideri la professione insegnante una di quelle che richiedono, al pari di altre professioni complesse, un’alta formazione professionali e quindi un investimento adeguato nei percorsi che la strutturano