Alcuni giorni fa, dalle colonne di Avvenire, il poeta Davide Rondoni ha lanciato una provocazione, o, come lui stesso la definisce, una «realissima supplica»: aboliamo l’insegnamento della poesia nelle scuole, dove sta «colpevolmente soffocando tra ignoranza e disistima». Rendiamola facoltativa, dice Rondoni, così che la studi e la insegni solo chi ci tiene. Laura Cioni, insegnante e saggista, reagisce così  alla proposta.



Leggo in ritardo la provocazione di Rondoni pubblicata da Avvenire sulla poesia a scuola e la replica di Cucchi. Inutile dire che sono totalmente in disaccordo con quanto pur autorevolmente scritto.

Hanno presente gli autori che cosa è successo rendendo non obbligatorio l’insegnamento di religione nelle nostre scuole? Ovviamente, la stragrande maggioranza degli allievi si avvale della facoltà di non avvalersi di tale insegnamento Là dove si ritiene facoltativa una materia, con ciò stesso si dichiara che non è poi così importante e quindi perché non preferirle un’ora di libertà? Risultato: la più crassa ignoranza sui fondamenti della cultura occidentale, che si riverbera evidentemente sugli insegnamenti di storia, italiano, arte e forse anche qualcosa d’altro.



Facciamo pure così con la poesia, insegnata così male, sconosciuta alla maggior parte dei professori. Ah, questi professori, origine di tutti i mali della scuola: perché non rendiamo facoltativi anche loro?

Io ho avuto la ventura di insegnare 27 anni. Una vita. Circa 55 classi. Circa 1500 studenti. Credo di essere stata un’insegnante nella norma, né scarsa né brava, di aver fatto semplicemente il mio dovere, che era quello di spiegare, interrogare, correggere, come tutti sappiamo dalla pratica, anche se poi quando si scrive di scuola, sembra che i compiti cambino e si usano tanti paroloni come educazione alla bellezza e al senso critico. Sogni di chi a scuola ha smesso di andare in quinta liceo e forse non si ricorda tanto com’era.



Perché dobbiamo darci la zappa sui piedi impedendo, col rendere facoltativo l’insegnamento della poesia, che anche uno solo dei miei 1500 allievi si ricordi, in un momento della sua vita, un verso di Virgilio o una battuta di Shakespeare o una terzina di Dante? Qual è il motivo, se non un concetto aristocratico della poesia, cioè quella cosa che solo i poeti capiscono, perché praticano, mentre tutti gli altri, e fra questi in primo luogo gli insegnanti, sono condannati a ripetere in modo stantio e  quindi a rovinare il potenziale gusto altrui

E invece la poesia la capiscono tutti, cari signori. Basta leggerla a voce alta, nel silenzio di una classe attenta, sì anche passivamente attenta. Provare per credere, se dopo le prime battute che cadono nella distrazione (chiunque abbia studiato un po’ di retorica lo sa), non avviene qualcosa. Provate a leggere anche solo Noventa, Co ghe gera soldai e a stupirvi che alla fine dell’ora i maschi vi chiedano di fare la fotocopia. Vi assicuro che, se una cosa così accade anche solo una volta in 27 anni, come è accaduta a me, una sola volta, vi passano tutti i dubbi sull’obbligatorietà di leggere poesia a scuola.

Non faccio altri esempi. Odio gli esempi in questi casi, perché sono sempre un po’ patetici. Vorrei che resti al lettore solo il tono vibrato con cui mi sento di dissentire dalle argomentazioni proposte, come in genere dissento da molte cose scritte a proposito della scuola da gente che di scuola non è. Non che sia inutile uno sguardo esterno, anzi. Ma dovrebbe avere il coraggio e il buon senso di confrontarsi con quanto avviene realmente nelle aule. Non possono perché scrivono sui giornali o fanno un altro lavoro? Si informino da chi fa l’insegnante. In fondo, oltre a pensare, anche informarsi è il loro mestiere.