Ammissione degli allievi agli esami di stato: alla fine la severa Ministra ha ceduto e si è tornati alla richiesta della media del 6, abbandonando la pretesa di tutti 6.

Sarebbe superficiale leggere questa inversione di rotta come un ennesimo trionfo del lassismo degli insegnanti italiani sui tentativi di imporre alla scuola maggiore rigore e serietà.



L’evidente scivolata – i ministri non dovrebbero mai essere messi nella condizione di dover tornare sui propri passi! – è dovuta infatti alla contraddittorietà delle posizioni sulla valutazione degli studenti che sta dietro molte disposizioni normative prese negli ultimi tempi.

Il segno della politica di questo ministro è infatti quello del ritorno alla serietà ed al rigore, dopo decenni di lassismo che avrebbero caratterizzato lo stile della scuola italiana.



Non che questa analisi sia del tutto infondata.

Finché si tratta infatti di questioni di comportamento sostanzialmente il ragionamento regge, al di là di sporadiche intemperanze di docenti che sembrano sfogarsi dopo un lungo periodo di frustrazioni.

Posto infatti che la cronaca scolastica – ma anche ahimè la storia – si sono incaricate di dimostrarci che l’uomo non è necessariamente e naturalmente buono, la utilità del ripristino anche delle sanzioni era chiara non solo agli occhi di incalliti reazionari ma anche di sensati progressisti.

Ma se si va al problema degli apprendimenti, la questione si fa più complicata. E’ difficile infatti affrontare il presente ed il futuro con gli strumenti del passato (come la scala decimale dei voti o il Regio Decreto del ’24) o meglio, qualora si ritenga opportuno farlo, è necessario dar loro una spolveratina, adeguarli ai tempi nuovi.



I tempi nuovi sono segnati essenzialmente dalla necessità per società avanzate, e perciò complicate da viverci dentro, di scolarizzare tutti, magari in modi diversi.

In una popolazione così ampia che si trova davanti una proposta formative così articolata (e che tale rimarrà anche dopo una radicale auspicabile potatura) è difficile pensare che tutti gli studenti in tutti i campi raggiungeranno l’asticella della soglia base.

Se si pone questa come la condizione per il passaggio da un anno all’altro, si mettono le premesse per le ripetenze o nel caso specifico per le non ammissioni agli esami.

Il problema delle quali non è che fanno soffrire lo studente, ché anzi un’adeguata dose di frustrazione sembra utile ai fini della crescita. Il fatto è che non servono a molto, rispetto all’obiettivo che si propongono. In quasi tutti i paesi europei la ripetenza è in via di sparizione a partire dalle ricerche degli anni Settanta (sconosciute in Italia) che dimostravano la sua ininfluenza sul miglioramento dei livelli di apprendimento. Basta del resto dare un occhiata ai risultati PISA italiani per vedere che i risultati peggiori sono quelli degli studenti che a 15 anni sono ancora in 3° media. Il governo tedesco del Cancelliere Merkel, non sospetto forse di intenerimenti sessantottini, invita quest’anno ad evitare le bocciature e ad ottimizzare i risultati.

Certamente, in alcuni limitati casi la ripetenza può essere utile ed anche necessaria, ma è del tutto infondato concepirla come strumento di recuperi cognitivi a livello di massa.

Bisognerebbe avere il coraggio di dire che debbono esservi materie “catenaccio”, quelle degli apprendimenti strumentali di base, quelle messe sotto indagine dalle ricerche tradizionali.Ma chi se la sente di farlo a fronte di masse di insegnanti che si sentirebbero immediatamente retrocessi in serie B?

In realtà la soluzione della media del 6 è da fini pedagogisti. Ci sono paesi che la applicano anche nei passaggi normali da un anno all’altro (sono ammessi però i 5 e non i 4). In filigrana vi si può perfino leggere la teoria dello sviluppo diversificato delle intelligenze.
Tutti gli adulti sanno che, fatto salvo il possesso degli apprendimenti strumentali di base, è più importante per il proprio futuro avere forti vocazioni e predilezioni, piuttosto che omogenei discreti rendimenti.

Promuovere con il 5? Promozioni facili? Promozioni di massa?

La dichiarazione esplicita di quanto realmente appreso attraverso voti e certificazione sarebbe un calmiere più che efficace, insieme con un sistema di valutazioni periodiche esterne applicato anche agli studenti, come si è iniziato a fare all’esame di terza media.

Le Università e i datori di lavoro saprebbero subito che chi ha preso sempre 5 in matematica non ha forte vocazione per professioni a carattere scientifico tecnologico e che chi ha sempre preso 5 in ragioneria non ha forse la propensione a maneggiare bilanci. Naturalmente un 5 suffragato dai risultati delle valutazioni esterne ed accompagnato dalla certificazione dei contenuti ad esso sottesi.  

Sapendo questo, forse gli studenti sarebbero più incoraggiati a rimboccarsi le maniche di quanto oggi non lo siano dal timore (che talvolta diviene speranza) di parcheggiarsi un anno in più fra i banchi.

Un ultimo problema: le disposizioni concernenti gli esami di maturità si applicano anche a quelli di terza media?