Partiamo dalla realtà: le lingue classiche nella scuola italiana non si apprendono adeguatamente.
Ogni anno, in sede di Esame di Stato, pietosamente e burocraticamente ci prestiamo a dire bugie e a licenziare dal liceo Classico molti studenti che non sono in grado di leggere in modo accettabile una pagina di Platone o di Virgilio nella loro lingua originale. Ancora più critica la situazione dei Licei Scientifici o Psico-pedagogici o Linguistici, come segnalano le percentuali di insufficienze in latino registrate in questi indirizzi.
Non è una novità. Come spiega bene Luigi Miraglia in un’intervista pubblicata recentemente su queste pagine, il problema è secolare: se ne lamentava già Giovanni Pascoli alla fine dell’800!
E’ vero che il mancato apprendimento delle lingue classiche mette sotto accusa anzitutto una didattica inefficace, che evidentemente continua ad essere praticata, nonostante da decenni numerosi studi e ricerche suggeriscano un radicale rinnovamento della metodologia tradizionalmente adottata.
Tuttavia, la crisi che attraversa l’insegnamento delle lingue classiche nelle nostre scuole ci spinge a riflettere su una questione radicale: perché oggi si devono studiare le lingue classiche?
La risposta a questa domanda è stata storicamente la seguente: perché la cultura classica è la via regia per la formazione delle élites dirigenti, laiche e religiose. Da sponde diverse convergono sul ruolo centrale della cultura classica gli umanisti, i gesuiti della Ratio studiorum, i luterani. Nel loro curriculum superiore sono perciò presenti l’ebraico, il greco e il latino. Il Paedagogium, fondato ad Halle da August Hermann Francke, teologo luterano e pedagogista tedesco, nel 1698 prevede lo studio di queste lingue, secondo un programma didattico finalizzato alla formazione della futura classe dirigente. Hegel scrive che le lingue classiche sono come «il battesimo profano destinato a dare all’anima la prima e inalienabile inclinazione e disponibilità al gusto e alla cultura». Il Gymnasium-Liceo nasce quale strumento di preparazione di un’élite intellettuale destinata a ricoprire incarichi amministrativi, che si identifica con la borghesia colta, la Bildungsbuergertum. Questo schema prussiano converge con quello napoleonico e passa in Italia nel modello Casati-Gentile fino ai giorni nostri. Formazione umana (e religiosa) integrale, cultura classica, studio delle lingue classiche, Liceo: questa la sequenza logica.
Questa sequenza si è spezzata per due ragioni. In via di fatto, perché solo il 12% dei ragazzi frequenta il Liceo classico. Di questi, d’altronde, solo una minoranza esce con la conoscenza necessaria per tradurre un testo a prima vista e per parlare in Latino. In linea teorica e fattuale, perché il patrimonio culturale, filosofico e letterario della classicità si può benissimo acquisire attraverso buone traduzioni e studi specialistici.
Il problema oggi si presenta pertanto in modo diverso: non come far studiare a tutti il latino, ma come presidiare una conoscenza specialistica e professionale del Latino, che tenga aperto a tutti l’accesso alla cultura classica, senza la pretesa che tutti conoscano direttamente la lingua. Occorre ripensare lo studio del latino e del greco fin dalla scuola media superiore come formazione professionale, che apra la strada alla ricerca universitaria del settore (letteratura, filosofia, filologia), all’insegnamento nelle scuole superiori, allo studio approfondito e all’insegnamento delle lingue indoeuropee (inglese, tedesco, russo, spagnolo, francese, portoghese ecc…). E’ noto, ad esempio, che il lessico inglese è pieno di tracce latine. Dunque: la cultura classica all’interno delle competenze-chiave – quindi per tutti – e lo studio delle lingue classiche all’interno di competenze professionali-vocazionali. Per l’insegnamento professionale si dovranno – e sarebbe ora – applicare tutte le tecniche didattiche più avanzate, quale quella suggerita e praticata dal prof. Miraglia ed altri.