Il Rapporto OCSE – ancora a livello “confidential” e perciò passibile di eventuali modifiche –  dedicato alla situazione socio-economica italiana riserva una parte importante alla condizione del sistema educativo nazionale. Poiché si tratta di uno sguardo esterno, oltre che autorevole, vale la pena di prendere sul serio le osservazioni vi riportate.



Nonostante un livello di spesa, che viene definito dall’OCSE come abbastanza alto, la qualità degli apprendimenti dei quindicenni continua ad essere deludente e come tale è stata monitorata in decenni da tutte le valutazioni internazionali, con l’eccezione di Lettura alle elementari. Ciò, nonostante il crescente livello italiano di partecipazione alla scolarità.



Oltre ai bassi livelli qualitativi, vengono presi in considerazione “i fattori di equità”. E’ vero che l’influenza del background sociale sugli apprendimenti è più bassa che in altri paesi dell’OCSE, ma ciò avviene principalmente a causa del fatto che non si registrano significativi alti livelli di apprendimento, che sono generalmente correlati con un background sociale elevato. Tale influenza è peraltro ampiamente trasmessa attraverso «una sorta di autosegregazione che risulta dalle scelte delle famiglie tra i diversi tipi di scuola secondaria». Sono qui le radici della relativamente bassa mobilità sociale italiana: le famiglie riproducono attraverso la scelta scolastica la propria collocazione sociale.



Secondo il Rapporto, le grandi differenze nelle performances degli allievi fra le regioni italiane non potrebbero essere spiegate dalla quantità di risorse disponibili, poiché queste «sono sostanzialmente comparabili». D’altronde, secondo ricerche citate dal Rapporto, non sarebbe dimostrato neppure che le cause delle differenze risiedano nella minore efficienza della scuola meridionale. Riprendendo alcune osservazioni dei Rapporti regionali italiani PISA 2006, il Rapporto rileva che per la prima volta il “questionario studenti” ha permesso una comparazione fra i risultati oggettivi e le opinioni sulle proprie capacità. Ne è risultato che, mentre gli studenti del Nord ne hanno una idea realistica, quelli del Sud le sovrastimano, forse per effetto indotto dalle valutazioni della scuola. Andrebbe integrata questa osservazione con una riflessione sul paragone fra risultati PISA e voti dichiarati nel 2003, già presente nel Quaderno Bianco del settembre 2007. Da quel paragone risultava che, a parità di performances PISA, gli studenti del Sud avevano ricevuto nell’ultimo quadrimestre votazioni più alte degli studenti del Nord. Il tema – per la prima volta messo a fuoco a livello internazionale – riguarda chiaramente il valore dei titoli di studio rilasciati nel nostro Paese.

L’OCSE esprime perciò preoccupazione per il processo di federalismo fiscale in corso, in quanto la decentralizzazione delle responsabilità dell’istruzione complicherebbe il cammino delle necessarie riforme e potrebbe allargare il gap fra le diverse Regioni. Raccomanda pertanto che ci sia un adeguato controllo centrale degli esiti di apprendimento, che debbono essere definiti in termini di “chiari standard di risultato” e non di processo, lasciando alle Regioni “ la gestione degli input e dell’organizzazione del servizio”, al fine di raggiungerli.

C’è solo da osservare che, se questa è una preoccupazione fondata, c’è però da tenere conto della peculiare situazione italiana, in cui i tentativi di operare riforme dal centro, in corso ormai da decenni, si sono scontrati sempre con la debolezza ed il basso livello delle mediazioni operate dal sistema centralistico, che non riesce a riflettere le tendenze più avanzate del paese. Perciò la risposta a quella legittima preoccupazione può essere il cosiddetto “federalismo a geometria variabile”, che per un lato esclude ogni ipotesi isolazionista delle Regioni più avanzate, ma contemporaneamente permette a tutti i territori di esprimere le proprie politiche e a quelle migliori di espandersi per contagio.

Problema dell’Italia è secondo il Rapporto un numero di insegnanti eccessivo e il basso livello dei loro stipendi. Le ragioni non sembrano risiedere nella conformazione orografica, poiché il problema è lo stesso nei grandi e nei piccoli centri, ma neppure nelle norme, che non divergono macroscopicamente da quelle di altri Paesi. Il problema è la costante e territorialmente omogenea tendenza ad assestarsi di fatto sui numeri più bassi possibile di alunni per classe. Poiché non c’è evidenza che un orario scolastico prolungato come quello italiano ed un basso numero di allievi per classe migliori i risultati, è giusto per l’OCSE che il governo agisca su questi fattori per migliorare la resa dei suoi investimenti, purché non si diminuisca il peso del core curriculum ed in particolare di quello scientifico, in cui l’Italia è già scadente. Con costanti riferimenti al Quaderno Bianco, si afferma però che le misure di risparmio devono essere accompagnate da premi incentivanti per il merito e da un controllo dei risultati, senza fare di tutta un’erba un fascio, penalizzando le situazioni già virtuose. Inoltre si sottolinea l’importanza di una formazione di buona qualità per tutti i docenti e del cambiamento delle stesse procedure di reclutamento che “dovrebbero anch’esse pagare dividendi di efficienza”.

In proposito si fa riferimento al Ddl Aprea, che sarebbe «in linea con le buone pratiche», anche se con qualche carenza concernente il «disegno della infrastruttura amministrativa necessaria» (Stato o Regioni?) e «le modalità di integrazione dei vecchi insegnanti nelle nuove carriere».

Soprattutto, però, il problema per l’OCSE sembra risiedere nel fatto che il Ddl non sia ancora stato adottato dal Governo italiano.