Da mesi si parla e si argomenta molto intorno alla bozza di regolamento sulla formazione dei docenti. C’è chi approva ed auspica una sua sollecita approvazione, chi fa analisi decisamente critiche. Proposte sull’argomento erano già state strutturate in era morattiana.

E’ indiscutibile la necessità e l’urgenza di dare un nuovo assetto propulsivo di cambiamento per quanto concerne la formazione dei futuri docenti di ogni ordine e grado di scuola. Ma c’è una questione temporale che preoccupa: anche qualora la proposta di formazione dei docenti venisse approvata in tempi brevissimi, tra quanti anni la scuola avrebbe a disposizione docenti ben formati, pronti a dar nuova linfa alla scuola? E nel frattempo la scuola viene messa in stand by, incistandosi sui suoi mali e malesseri?



Si tenga presente che anche nella scuola attuale sono presenti numerosi docenti che, sia pur loro malgrado formati in modo nozionistico e disciplinare-specialistico, in realtà stanno già operando in modo intelligente ed innovativo nel metodo e nella didattica. Ciò nonostante la scuola sta stretta a docenti ed alunni. Nasce da ciò una considerazione che si trasforma in una preoccupazione di fondo.



L’attuale sistema scolastico – rabberciato or qua or là attraverso regolamenti, direttive e circolari relative a singoli elementi che fanno parte dell’assetto generale della scuola ma che non ne cambiano l’architettura – si diceva, l’attuale sistema scolastico può accogliere dentro di sé nuove o illuminate professionalità senza comprimerle o nullificarle, creando così frustrazioni nell’attuale e nel futuro corpo docente?

Sulla scuola si sta attuando un’opera di “restaurazione”, con l’intenzione (forse inconscia) di tutelare e mantenere il passato, attribuendo a questo solo valenze positive. Si crea allora una situazione piuttosto paradossale secondo la quale, a fronte della formazione di nuova professionalità docente, si mantiene inalterata la struttura portante e le stanze interne del palazzo scolastico.



Permane inalterato, nonostante i tentativi delle riforme firmate Berlinguer e Moratti, il numero di anni che costituisce i vari ordini di scuola e la definizione di quadri orari e classi di concorso (soprattutto per la secondaria di 1° e 2° grado), come si perpetua la consuetudine dell’ora di “lezione” di ogni singola disciplina, disattendendo i suggerimenti, presenti nelle “Indicazioni per il curricolo” del 2007, titolati “L’ambiente di apprendimento” i quali spronano la scuola a strutturarsi anche come laboratorio cognitivo ed operativo (del pensare e del fare integrati). I docenti che percorrono tale pista (e sono più di quanti si immagini) lo fanno costringendosi ad esercizi di funambolismo, cercando di far rimanere nella norma e nelle pieghe dell’organizzazione del sistema scolastico un impeto culturale e metodologico che richiede più spazi e decisa maggior flessibilità. In una casa con mobili massicci e inamovibili e suppellettili inchiodate ai mobili è difficile riorganizzare lo spazio per renderlo più funzionale a nuove intenzionalità e finalità. I margini di autonomia risultano minimi, giocati come possono essere dentro una struttura ingessata e presidiata tenacemente da norme e vincoli legislativi.

I dati divulgati dal Servizio statistico del Ministero relativi agli esiti degli scrutini intermedi dichiarano che il 48% degli alunni della scuola secondaria di 1° grado ha riportato una o più insufficienze nelle varie discipline. Non va meglio nella secondaria di 2° grado dove la percentuale di studenti con insufficienze sale addirittura al 74%. Bocciamo tutti questi alunni o bocciamo la scuola? Il restyling che con accanimento viene fatto su di essa non dà evidentemente esiti positivi.

Occorre ripensare seriamente e complessivamente al sistema scolastico perché i docenti che dovrebbero essere formati secondo le nuove proposte trovino una struttura e spazi adeguati per essere reali protagonisti attivi e promotori di educazione, misurandosi su un terreno fertile e coltivabile grazie alla formazione ricevuta. Senza dimenticare i docenti che operano attualmente nella scuola che a volte vedono di fatto censurate dal sistema le loro idee e le loro azioni innovative, promotrici di educazione.

Perché una città sia bella e vivibile occorre sì che sia abitata da uomini educati alla convivenza ed alla socialità, ma contemporaneamente la città deve essere costruita secondo criteri e strutture che consentano agli uomini di agire le proprie competenze e dare il meglio di sé. Diversamente i cittadini cercano un luogo più adeguato: vanno a vivere in campagna! Ma i docenti non possono fare neppure questo, e sarebbe veramente desolante che la scuola si svuotasse di professionisti seri e consapevoli dei bisogni degli studenti.

La fuga verso il pensionamento a volte è dettata dal senso di impotenza e fallimento che uno avverte rispetto al proprio impegno educativo. Speriamo che non si verifichi uno strabismo secondo cui la formazione dei docenti guarda al futuro e al nuovo e la scuola guarda (con compiacimento?) al passato. Spes ultima dea.