Sì alla differenziazione delle carriere, no al reclutamento diretto. Massimo Di Menna, segretario della Uil Scuola, entra nel dibattito sul pdl Aprea con spirito propositivo, con qualche no, ma in generale con ampie aperture al progetto in discussione in Commissione parlamentare. E già di per sé è una notizia, visto il clima di perenne scontro ideologico con cui le questione relative alla scuola vengono solitamente affrontate, soprattutto da parte di molti esponenti del mondo sindacale.
Di Menna, si parla di premi e differenziazioni delle carriere per i docenti: un tema spinoso, su cui in passato è caduto il ministro Berlinguer, anche con una bella spinta dei sindacati. Qual è la vostra posizione, ora che si torna a parlare di questo tema a proposito del pdl Aprea in discussione alla Commissione Cultura della Camera?
Noi siamo a favore: siamo d’accordo sul fatto che occorra introdurre nell’attività degli insegnanti delle opportunità di carriera e di riconoscimento dell’impegno professionale. Non è accettabile che nell’ambito del lavoro pubblico gli insegnanti siano gli unici a non avere questa opportunità; ed è paradossale che chi insegna, se vuole avere un’aspirazione di carriera, debba tendere a fare un lavoro diverso, cioè quello di dirigente. Invece le scuole sono ricche di tanti insegnanti che danno l’anima dal punto di vista professionale, e che con il loro lavoro e con il loro impegno garantiscono una scuola di qualità.
Che cosa è mancato fino ad ora perché si arrivasse a garantire agli insegnanti meritevoli questi necessari riconoscimenti?
Per un verso la disponibilità di risorse finanziarie: carriera significa anche differenziare le retribuzioni, e per fare questo ci vogliono le risorse. Se si pensa si farlo utilizzando gli attuali aumenti contrattuali, che sono limitati sostanzialmente al meccanismo della copertura dell’inflazione, la cosa non sarebbe accettabile. Quindi ci vogliono risorse nuove per coprire questa opportunità. La seconda cosa che manca è l’istituzione di una valutazione del sistema scolastico, trasparente ed efficace.
Bene, allora partiamo dal primo punto: come trovare le risorse?
Le risorse vengono dai risparmi dati dalla razionalizzazione, il 30% dei quali deve essere destinato alla valorizzazione professionale. Il governo deve quantificare questi risparmi, e inserirli nel nuovo modello contrattuale da approvare per il mese di dicembre, e poi valido per il prossimo triennio.
E invece i criteri sulla base dei quali strutturare una valutazione?
I criteri sono due: per prima cosa va valorizzato e riconosciuto il lavoro specifico degli insegnanti, cioè quello che essi fanno in classe con i ragazzi. Paradossalmente oggi per guadagnare di più si fanno progetti e progettini nelle scuole, si scrivono carte (che nessuno legge), mentre gli insegnanti che sono direttamente impegnati in classe in attività di personalizzazione non hanno opportunità di riconoscimento. Quindi la prima questione è che nella professione docente vanno eliminati tutti gli elementi di burocratizzazione, e va dato valore alla qualità vera dell’insegnamento, cioè al lavoro d’aula. Il secondo elemento è il tempo: nella scuola dell’autonomia bisogna fare progettazione e ricerca, e quindi c’è bisogno anche di poter riconoscere il lavoro e il tempo che si dedica alla scuola.
Entriamo più nello specifico delle proposte del pdl Aprea: siete d’accordo con l’idea della tripartizione della carriera docente?
Credo che possa essere una cosa da approfondire; di certo non è negativa. Quello che sosteniamo è però il fatto che la valorizzazione professionale, per poterla realizzare, va riportata alla materia contrattuale. Deve quindi essere stralciata dal disegno di legge e inserita nel nuovo decreto, il decreto Brunetta appena passato in Cdm: lì dovrebbero essere assunti i principi, e nel contratto realizzati. I tempi del disegno di legge parlamentare sono tempi più lunghi; inoltre, è un tema che riguarda la contrattazione e non può essere deciso unilateralmente dal datore di lavoro.
Cosa pensa invece dell’ipotesi di autonomia contrattuale e di reclutamento diretto dei docenti da parte delle scuole?
Su questo invece siamo contrari. Per noi la scuola deve rimanere un’istituzione di natura nazionale, in cui il reclutamento deve avvenire con una procedura trasparente di tipo concorsuale, magari con un concorso regionale. Quello che è importante è che poi, una volta assegnati con un sistema concorsuale gli insegnanti alle scuole, venga anche garantita agli insegnanti stessi una stabilità nel tempo.
Ma cos’è che vi preoccupa tanto nel reclutamento diretto?
Il fatto che inevitabilmente si arriverebbe ad avere scuole confessionali, scuole (soprattutto per le superiori) con certe tendenze di carattere politico-culturale. La qualità della scuola pubblica è nell’essere pluralista, e il reclutamento non legato alla singola scuola lo garantisce di più.
E allora come fare? Le graduatorie non hanno garantito né imparzialità, né qualità.
La strada è quella dei concorsi. Le graduatorie è già previsto che vengano assorbite. Tra l’altro, oggi si parla di nuovo sistema di reclutamento, ma in realtà già esistono in alcune regioni (come Veneto, Lombardia e Piemonte) attività di insegnamento di matematica e delle ricerche scientifiche che non sono coperte, perché le graduatorie sono esaurite. Quindi lì bisogna fare rapidamente il concorso: concorso pubblico, rigoroso, per selezionare i giovani e evitare che si formi nuovo precariato.
Ancora un altro elemento di discussione intorno al pdl Aprea: la riforma degli organi collegiali. Qual è la vostra posizione?
È assolutamente necessaria una riforma. L’attuale struttura degli organi collegiali che regolamenta la gestione della scuola italiana è del 1974. Dal 2000 c’è l’autonomia, e siamo nel 2009; già questo imporrebbe di decidere una modernizzazione, e verificare come debba funzionare realmente la scuola dell’autonomia, non solo a livello gestionale, ma anche nella didattica.
Parallelamente ai contenuti del pdl Aprea c’è anche il discorso della formazione iniziale degli insegnanti, che ha un trattamento a parte all’interno di un regolamento preparato da un’apposita commissione: qual è la vostra posizione in proposito?
Il modello che si deve prefigurare è quello di puntare su una formazione specifica e su un forte tirocinio presso le scuole; un modello di questo genere mi trova d’accordo. Preferisco questo rispetto al modello della formazione tutta universitaria delle Ssis, che ha dimostrato una grave carenza e che ha favorito un forte precariato. La formazione iniziale deve prevedere un numero programmato di posti e deve essere legata soprattutto a un forte tirocinio nelle scuole, cui deve essere data una funzione molto importate. In questo senso si può pensare anche a contratti di ingresso: non solo il tirocinio, ma far fare al giovane che entra nella scuola due anni di verifica prima dell’assunzione. Lì la scuola, il dirigente, il comitato di valutazione della scuola può svolgere una funzione importante ai fini del reclutamento.
Un’ultima domanda: non tutti i sindacati hanno la sua stessa apertura (per altro riconosciuta proprio su questo giornale dal presidente Aprea). Come fare a stabilire un vero clima di dialogo?
Se si ragiona nel merito si possono trovare posizioni condivisibili. Se invece la scuola rimane, come spesso è, una sede di contrasto ideologico fortemente politicizzato diventa tutto più complicato. Il dibattito in sede di Commissione può dare una mano notevole in questa direzione: in effetti dipende molto dal presidente della Commissione, che deve fare in modo di trovare soluzioni che possano avere il consenso della parte più aperta dell’opposizione. Certo, io confermo però che nella scuola, purtroppo, c’è spesso questo clima di contrapposizione, basato più sul significato ideologico che si dà a certi termini che non sul merito delle questioni.
(Rossano Salini)