Nel suo intervento su questo giornale, il preside del liceo “Berchet” di Milano, Innocente Pessina, segnala correttamente l’interdipendenza fra l’aumento dei margini di autonomia delle scuole, come l’assunzione diretta degli insegnanti, e la valutazione, del dirigente, in primo luogo, e in generale della scuola. I due aspetti infatti vanno di pari passo: se la scuola deve rendere conto del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento, deve poter operare responsabilmente e autonomamente sulle scelte che incidono sui risultati (e una delle poche cose certe è che il fattore che fa la differenza è proprio l’insegnante). D’altro canto se la scuola è lasciata libera di operare, essa deve essere sottoposta a controllo da chi assegna alla scuola la sua funzione, cioè la società.
Si tratta ormai non solo di una scelta di natura politica, ma di una scelta strategica. L’autonomia e la valutazione sono la miscela che può incrementare i buoni risultati delle scuole, come hanno capito in Germania, e che può aiutarci a superare il divario dagli altri paesi partendo dall’assetto istituzionale, e non solo da metodologie, processi e offerta formativa. Di fatto 30 anni di pedagogia applicata (dal cooperative learning ai moduli, dai nuclei fondanti ai recuperi, dall’autovalutazione d’istituto al bollino-qualità) non hanno prodotto il miglioramento atteso, forse proprio perché l’assetto organizzativo complessivo – il sistema di formazione e reclutamento degli insegnanti per esempio – osta, non permette alle energie positive di liberarsi e operare. Giustamente il Quaderno bianco dei ministri Fioroni e Padoa Schioppa teneva conto di una molteplicità di elementi di sistema.
Nello documento della rete Eurydice “L’autonomia scolastica in Europa. Politiche e modalità di attuazione” (il testo è del 2007) vengono paragonati i sistemi scolastici in Europa a seconda del diverso grado di autonomia delle scuole, intesa soprattutto in un’ottica di decentramento, di trasparenza rispetto alle decisioni prese, di rendicontazione dell’uso delle risorse. Tuttavia nell’ultimo capitolo il documento fa riferimento proprio alla valutazione degli studenti in prove standardizzate come elemento fondamentale di tale rendicontazione: dalla figura 3.2 (Pubblicazione dei risultati della valutazione esterna dei singoli istituti scolastici) risulta che fra tutti i paesi, che hanno diversi sistemi di valutazione indipendenti preposti a questo scopo, c’è un grande assente: l’Italia (“nessuna valutazione esterna delle scuole”).
La cosa in realtà non è del tutto vera, perché dal 2000 esiste un ente esterno semi-indipendente che ha il compito istituzionale di rilevare gli apprendimenti degli studenti e di restituire i dati alle scuole, cioè l’Invalsi. Una serie di prove sul campo, con tutte le difficoltà, hanno avuto il merito di individuare e di affrontare una serie di problemi specifici legati alla misurazione: affidabilità dei campionamenti e delle procedure di somministrazione, completezza dei dati di contesto socio-culturali di provenienza degli studenti, procedure per la predisposizione delle prove, strumenti statistici per l’analisi dei dati, modalità di restituzione dei dati, non ultimo personale specializzato per i compiti affidati.
Fra le azioni “nuove” rispetto al passato, si somministra per il secondo anno la prova standardizzata che gli studenti della terza media sosterranno il 18 giugno prossimo entro l’esame di stato. La costruzione di un’anagrafe degli studenti che passa dalle commissioni per l’esame di stato della scuola secondaria di II grado, prevista dall’attuale normativa e attuata attraverso una strumentazione on line di nuova concezione, è un altro importante passo per la predisposizione di banche dati che consentano la verifica dei risultati della scuola.
Parte quest’anno anche il Sistema Nazionale di Valutazione, preceduto da studi di fattibilità e affinamento dei metodi nonché dalla fase di pre-test svoltasi lo scorso anno scolastico, che sta cominciando ad assestarsi, secondo il piano di passi progressivi preannunciato un anno fa.
E’ di ieri (27.5) la pubblicazione sul sito dell’Invalsi di una pagina in “area stampa” che descrive dettagliatamente le azioni in corso sulla classe seconda e quinta della scuola primaria. http://www.invalsi.it/invalsi/istituto.php?page=stampa
E’ interessante in questa pagina la segnalazione della presenza di “osservatori esterni” opportunamente formati per il controllo delle procedure e la restituzione immediata dei dati delle circa 1100, fra tutte le scuola partecipanti, che costituiscono un campione stratificato per regioni e estratto dall’anagrafe delle scuole. Inoltre il preannuncio di una doppia restituzione dei dati in forma grezza e depurati dei dati di contesto (anche per misurare, in prospettiva, il valore aggiunto). In questo modo le prove offrono non tanto un risultato in termini di “profitto”, bensì una “scala” entro la quale ciascuna istituzione scolastica può collocarsi, al netto dei dati di contesto, per confrontarsi col sistema-scuola italiano e avere punti di riferimento per le proprie politiche scolastiche (appunto: qui è il nesso con l’autonomia).
L’adesione delle scuole è avvenuta inseguito ad una lettera scritta dal presidente dell’INValSI a tutti i dirigenti scolastici delle scuole primarie. La volontarietà dell’indagine non deve trarre in inganno. Il documento Checchi-Ichino-Vittadini, commissionato dall’INValSI in vista delle scelte strategiche da affrontare, non ha avanzato certo proposte “deboli” in merito alla natura e all’utilità della valutazione degli apprendimenti. Se motivi di opportunità legati in parte al momento politico (la scuola è sempre in subbuglio con qualunque ministro, e sottoposta a tensioni di varia natura) e soprattutto alla complessità dei meccanismi da mettere in movimento tutti in contemporanea (anagrafe degli studenti, prove standardizzate nell’esame di terza media, ricorrezione delle prove dell’esame di stato di II grado, presidio dei progetti internazionali PISA e relativa campagna di sensibilizzazione) hanno fatto preferire che le scuole aderissero volontariamente al progetto, questo non può essere che momento transitorio, almeno a chi guarda alle linee di tendenza che ormai in Italia diventano sempre più chiare, come tasselli di un puzzle che va configurandosi nel tempo al di là delle spinte centrifughe.
Gli insegnanti hanno già preso coscienza da tempo della necessità e della opportunità di queste misurazioni. Del resto l’adesione al piano, pur in tempi di diffuso disagio per la questione degli organici e l’incertezza normativa, ha mostrato la sostanziale sanità diffusa nel corpo docente di fronte a sfide non semplici da metabolizzare. Ogni polemica sulla attuazione del piano (i campionamenti, o le prove o quanto si vuole: tutto può essere criticato) rischia di essere datata e in ogni caso di mantenere il sistema nel ristagno in cui si trova.
Che si tratti di una scelta necessaria, peraltro bipartisan, è confermato dalle attese di organismi internazionali come l’OCSE e dall’evidenza di un divario in questo campo rispetto alle altre nazioni non solo europee, che va colmato. L’indipendenza relativa dell’INValSI rispetto al Ministero e il coraggio nel portare avanti questo rinnovamento indispensabile, pur negli inevitabili intoppi causati da qualche passo falso negli anni passati, dai diversi problemi cui si è accennato, dalla debolezza interna del sistema scolastico italiano, chiede a tutti almeno di tifare perché la barca vada avanti, la strada non venga abbandonata e l’Italia possa fare il salto di qualità che è necessario fare, per il bene di tutti.