Un’indagine svolta dall’Associazione TreLLLe in tre città italiane (Bologna, Siena e Lecce) dà l’idea della percezione che gli studenti hanno del nostro sistema di istruzione, una volta conclusa l’esperienza scolastica. Ne esce un quadro a tratti desolante, come sottolinea il presidente di TreeLLLe Attilio Oliva: un giudizio di sostanziale indifferenza verso una realtà che non è in grado di incidere e di lasciare un segno nella vita dei ragazzi.
Oliva, guardando i datti della ricerca da voi condotta, qual è in sintesi l’aspetto più rilevante del modo con cui i nostri studenti percepiscono l’esperienza scolastica?
La prima osservazione che emerge è il fatto che nelle tre città prese in analisi, cioè Bologna, Siena e Lecce, i ragazzi hanno dato sostanzialmente risposte identiche. Un dato che sicuramente non può non stupire; la condizione socioeconomica del Sud, ad esempio, è molto diversa rispetto a quella del Sud. Eppure la percezione dell’esperienza scolastica è uguale in tutti i punti d’Italia.
Come si spiega secondo lei questa omogeneità nel giudizio?
L’unica spiegazione che ci siamo dati è che la scuola, in quanto ipercentralistica, è identica ovunque: stessi orari, stesse discipline, tutto obbligatorio, programmi identici, insegnanti reclutati tutti allo stesso modo e quindi essenzialmente di qualità omogenea. Di fronte a un oggetto identico a se stesso in tutti i luoghi d’Italia, dove l’autonomia non è decollata e dove non ci sono opzionalità, la reazione è uguale. Sono gli effetti di una scuola irrigidita secondo un modello centralista.
Al di là del fatto di questa omogeneità, qual è il giudizio di merito sulla scuola? Positivo o negativo?
Intermedio; il giudizio nettamente prevalente è quello che verte intorno al concetto di “abbastanza”. Benissimo e malissimo si fermano intorno al 20%; la maggioranza degli intervistato si attesta sul giudizio del tipo “senza infamia e senza lode”.
E che valutazione attribuite a questo dato?
Siccome sappiamo dai risultati internazionali che la scuola italiana non produce granché in termini di apprendimenti, se ne deduce che gli studenti e le famiglie sono fondamentalmente prive di aspettative crescenti nei confronti della scuola. Le aspettative sono basse, quindi il giudizio è piuttosto indifferente, indice in qualche modo di una certa accettazione di un dato di fatto che si ritiene poco modificabile.
Gli studenti sono dunque rassegnati a questo stato di cose?
In parte è così. Ma soprattutto questa mancanza di aspettativa deriva dal fatto che studenti e famiglie non hanno confronti sulla base dei quali articolare i propri giudizi. Se avessero la possibilità di fare verifiche di cosa succede in altri paesi avanzati, dove le riforme sono andate più velocemente, dove l’autonomia è più ricca, dove la cura degli insegnanti è maggiore e vengono pagati meglio, probabilmente questo giudizio potrebbe essere molto peggiore. Non avendo questi confronti, si attestano su un dato di fatto e si fermano al grado “abbastanza”.
Com’è invece il rapporto con i professori? Sono stimati dai ragazzi, o anche qui domina l’indifferenza?
Questo a noi è parso il problema più importante. Innanzitutto abbiamo chiesto ai ragazzi se e quanti insegnanti hanno avuto che siano stati capaci di lasciare un segno nel loro sviluppo culturale ed intellettuale. Le risposte sono terribilmente deludenti: la maggioranza di loro ha risposto “nessun professore” o “un solo professore”. Siccome i ragazzi nella scuola secondaria sono entrati in contatto con oltre dieci insegnanti ciascuno, senza tener conto della rotazione, il fatto che la maggioranza dica “nessuno” o al massimo “uno” è un dato molto preoccupante. Vuol dire che non riconoscono negli insegnanti modelli, né culturali né etici, a cui ispirarsi. Sono passati attraverso la scuola senza essere minimamente coinvolti da personalità capaci di segnarli. Tutti noi che apparteniamo a un’altra generazione, invece, ci ricordiamo di almeno tre o quattro insegnanti che hanno segnato il nostro sviluppo culturale.
Anche in questo caso viene da chiedersi il perché di questa sfiducia, o per lo meno indifferenza nei confronti degli insegnanti.
Sicuramente è insufficiente la selezione degli insegnanti. Non è un mestiere che coinvolge giovani di grandissime qualità. I giovani di qualità se ne vanno altrove; anche se affascinati dal mestiere, i livelli di remunerazione e di carriera sono talmente modesti che fatalmente si finisce col selezionare persone con ambizioni modeste. Naturalmente ci sono sempre le eccezioni, ma la situazione generale fotografata è questa.
Quindi, alla luce di questi dati, cosa pensare per il futuro della scuola?
L’obiettivo, secondo le linee su cui TreeLLLe insiste da dieci anni, è che l’autonomia si compia con organi di governo responsabili e operativi, e che si diano grandi poteri al preside e al suo team di direzione, che naturalmente il preside deve potersi scegliere. Dall’altro canto, è necessario che gli insegnanti possano essere valutati. Tutti elementi che nelle proposte di legge in discussione alla Commissione Istruzione della Camera si trovano.
Quali devono essere i punti caratterizzanti di un’ipotesi di carriera per gli insegnanti?
Sicuramente è valida l’idea di strutturare la carriera in tre livelli, come succede in tutti i mestieri. Contro questa idea viene mossa l’obiezione che tutti in fondo fanno lo stesso lavoro, e quindi non è giusto fare distinzioni: un’obiezione inconsistente, perché l’insegnamento non è una macchina produttiva, bensì una grande impresa culturale che coinvolge in modo diverso l’impegno delle persone. Trattarle in modo diverso anche salarialmente mi sembra una cosa molto saggia, perché crea una catena di motivazioni al miglioramento, cosicché ciascuno, sia per spinta psicologica, sia per spinta remunerativa, ambisca a passare al gradino superiore. La nostra associazione aveva proposto di avere insegnanti “ordinari”, “esperti” ed “eccellenti”; il disegno di legge Aprea usa una terminologia diversa, ma il significato è lo stesso.
Quali altre obiezioni bisogna vincere su questa strada, oltre a quella accennata prima?
L’altra obiezione è quella di dire: chi valuterà gli insegnanti? Si può essere veramente rigorosi? A prescindere dalla risposta, io dico: naturalmente ci saranno imperfezioni, ma sicuramente il peggio è la situazione in cui adesso ci troviamo, in cui nessuno ha motivazioni a fare meglio.