Nel corso dell’anno scolastico 2006-2007, con alcuni alunni della II classico del liceo ‘Don Carlo Gnocchi’ di Carate Brianza, ho impostato un lavoro di traduzione di testi di poesia greca e latina, non preventivamente programmato, ma scaturito dal desiderio, dimostrato dai ragazzi durante le lezioni dedicate ai testi d’autore (in particolare Catullo), di tentare una loro traduzione italiana che, oltre a non tradire nella sostanza il messaggio originale, risultasse anche efficace dal punto di vista espressivo e comunicativo ed esteticamente ‘bella’.
Ho quindi offerto loro l’opportunità di fare un’esperienza di traduzione, svincolata dai tempi della programmazione didattica, ma concepita come naturale sviluppo delle lezioni del mattino, con le quali ha sostanzialmente condiviso metodi e obiettivi. Si è trattato di una serie di incontri pomeridiani di un’ora alla settimana, che si sono svolti da gennaio a maggio, ai quali hanno aderito sei alunni.
Ho scelto testi adeguati alle loro competenze linguistiche, più o meno direttamente riconducibili alla poetica ellenistico-alessandrina, quindi caratterizzati da brevità, fine elaborazione formale, un uso allusivo e colto della parola, pur in una apparente semplicità e linearità d’insieme: Callimaco, AP VII 80 e AP VII 45; Posidippo, ep. 122 AB; Meleagro AP VII 476; Catullo, carmi 51, 72 e 96; Orazio, Odi I, 22 e III, 13; Marziale, ep. V, 10. Dal punto di vista contenutistico si tratta di testi accomunati da una valenza meta-letteraria: presentano riferimenti, più o meno espliciti, al ruolo della parola poetica come possibilità di vincere l’oblio e la morte e di rendere eterno il poeta e il suo canto.
Ogni testo veniva da me presentato e analizzato con particolare attenzione alle strutture sintattiche, all’uso dei modi e dei tempi verbali, del lessico, delle figure retoriche, del registro stilistico, con un abbozzo di traduzione. La fase analitica costituisce un passo imprescindibile, perché non si può tradurre senza aver prima fatto un rigoroso lavoro di comprensione del testo. Gli alunni erano poi chiamati a rivedere a casa questa analisi e a proporre ognuno una propria traduzione, che discutevamo insieme la volta successiva.
L’obiettivo di questo lavoro era che i ragazzi facessero diretta esperienza che tradurre è innanzitutto un’operazione critica e interpretativa: significa di fatto comporre un testo nuovo e autonomo, che con quello di partenza si pone in un rapporto di fedeltà che non è meccanico adeguamento alle strutture morfo-sintattiche, ma scaturisce dalla comprensione, dall’appropriazione e dall’ identificazione con esso. Tradurre comporta fare scelte e rinunce, per l’impossibilità di riprodurre tutte le valenze semantiche del testo di partenza, del quale ognuno coglie gli aspetti più corrispondenti alla propria formazione e sensibilità.
Ritengo sia molto importante, anche nella prassi scolastica quotidiana, che gli studenti capiscano che rendere in italiano un testo greco o latino non vuol dire misurarsi con una fantomatica (e inesistente) traduzione “giusta”, rispetto alla quale si ha solo la possibilità di adeguarsi pedissequamente o di commettere errori. Di questo aspetto, fra parentesi, penso si debba tener conto anche nella modalità di correzione delle prove di verifica, che non può essere solo per sottrazione: oltre al livello della segnalazione dell’errore palese, grossolano, si apre tutto un campo di valutazione dell’efficacia espressiva.
Ai ragazzi chiedevo che dalle loro traduzioni facessero emergere con chiarezza la chiave interpretativa adottata, e che le scelte lessicali e linguistiche fossero coerenti con essa, incisive e rispettose degli usi della lingua italiana. Prendevamo inoltre in considerazione la presenza, nei loro componimenti, di un’armonia musicale d’insieme, fatta di suoni e corrispondenze, con attenzione all’estensione dei periodi e alle dimensioni dei versi, pur nella rinuncia al tentativo di una trasposizione nella metrica italiana, sia perché troppo impegnativo, sia per la distanza di questa da quella quantitativa del latino e del greco.
Ho richiesto anche di corredare le traduzioni con un titolo che enucleasse quello che per loro era il motivo portante di ogni componimento e con un breve apparato di note, nelle quali rendessero ragione di alcune scelte, per maturarne una maggiore consapevolezza.
L’atteggiamento dei ragazzi di fronte a questo lavoro è stato quello di non sottovalutarne la complessità, arrovellandosi spesso, vocabolari di latino, greco e italiano alla mano, sulla pertinenza delle loro scelte in rapporto al testo di partenza, ma l’hanno affrontato con entusiasmo, manifestando nello stesso tempo l’ umiltà di voler capire e l’orgoglio di lasciare un segno, di ridare voce – e nuova vita – ai grandi autori del passato. Hanno toccato con mano che con i costrutti, le parole, le immagini e i suoni che trovavano in questi testi antichi, potevano esprimere se stessi, e che anzi l’espressione di sé non solo non viene sacrificata dall’atto del tradurre, ma può uscirne favorita ed esaltata.
La riuscita di questa esperienza didattica, portata a termine dai ragazzi con serietà e soddisfazione, ci ha condotto alla pubblicazione di un volumetto, che contiene tutte le loro traduzioni, Riflessi in un’antica fonte, Quaderni Diesse Lombardia.