Se ci fosse un’educazione del popolo tutti starebbero meglio. Se ci fosse un’educazione come comunicazione di sé, cioè del proprio modo di rapportarsi con il reale, tutti starebbero meglio. L’editoriale di Isabella Bossi Fedrigotti sul Corriere della Sera della settimana scorsa ha avuto il merito di riaccendere i riflettori sulla vera emergenza nazionale: l’emergenza educativa. Una emergenza educativa che attraversa i figli e i padri del nostro Paese. Un’emergenza che è un vero e proprio “terremoto dell’io”.



Finalmente ci siamo accorti che ci troviamo davanti ad una emergenza, perché vediamo la fatica che fa la nostra società a trasmettere la ragione del vivere, cioè a introdurre al reale tutti i nuovi membri del nostro popolo. Dice tutto il titolo dell’editoriale del Corriere della Sera: “I ragazzi e i silenzi degli adulti”. I nostri figli senza maestri. E’ in crisi l’educazione. E’ in crisi la capacità di una generazione di adulti di educare i propri figli. E’ in crisi la stessa scuola. Bene dice Péguy: «La crisi dell’insegnamento non è crisi di insegnamento, è crisi di vita». Da qui il “terremoto dell’io” e la disperazione di più generazioni.



Essa si documenta nella passività di tanti giovani, quasi incapaci di interessarsi a qualcosa in modo duraturo e nella stanchezza, nella solitudine, nello scetticismo di tanti adulti, che non trovano un interesse per cui valga la pena veramente coinvolgere fino in fondo la propria umanità. Il terremoto dell’io produce la frammentazione dell’io. La persona è come smembrata, ridotta da un “fascio di reazioni”. Non si riesce più a cogliere la promessa che è contenuta nelle cose e nella stessa realtà. Profetiche le parole di Maria Zambrano: «Ciò che è in crisi (…) è quel misterioso nesso che unisce il nostro essere con la realtà, talmente profondo e fondamentale da essere il nostro intimo sostentamento». Luigi Giussani  parla di “un’anoressia dell’umano”. «Dell’uomo che non ha più voglia di vivere (…) il potere (…) fa le veci del padre e della madre».



Dal terremoto dell’io, dalla frammentarietà dell’io deriva una frammentazione della vita. La trascuratezza dell’io determina lo sbandamento del popolo. La trascuratezza dell’io, quell’essere fuori da sé fa fuori la realtà. Di fronte a questa emergenza siamo costretti a guardarla in faccia, a prendere in mano questa sfida, a fare i conti con il reale così com’è. I giovani come gli adulti possono ripartire dall’io e dalla realtà di fronte ad un’attrattiva vincente che ci introduce alla realtà.

Non si tratta di comunicare una nuova teoria dell’educazione. E’ inutile fermarsi alle analisi e ad un generico richiamo alle “regole”. Occorrono maestri, e ce ne sono, che introducano alla realtà totale. Educare significa aprire l’uomo alla realtà, a ciò che sta fuori, ma anche dentro di sé. Vivere vuol dire stabilire rapporti con ciò che ci alimenta, che ci fa essere. Noi siamo costituiti da un “cuore” che vuole essere sostenuto a stare di fronte al dramma della vita.

Di fronte ai terremoti c’è una strada. Un impeto di vita, una speranza certa che fa affrontare il dolore, il dramma e la morte. Dentro le circostanze anche dolorose la speranza si documenta come “segreto mistero” che cambia e rinnova le persone. Nel nostro Paese, nelle nostre scuole mai come oggi è necessario rilanciare l’educazione come avvenimento. E’ necessario rilanciare il rischio di educare. Rischio vuol dire accettare l’imprevisto e la possibilità di ricominciare a partire da risposte concrete, praticate, possibili, vive. Ne va del nostro presente e del nostro futuro.