Si stanno diffondendo in diversi contesti accademici italiani ed europei, soprattutto per le discipline economiche, sistemi di valutazione della ricerca basati su indicatori indiretti, che classificano i singoli contributi in base alla rivista nella quale sono pubblicati, in maniera quindi non direttamente dipendente dal loro contenuto e valore scientifico. La qualità della rivista viene poi misurata da indicatori bibliometrici che riflettono il numero delle citazioni globalmente ricevute da tutti gli articoli pubblicati nella rivista.



Riteniamo totalmente infondata la presunta non arbitrarietà di tali valutazioni. Esse penalizzano tutti i contributi che non si collocano nel flusso degli argomenti studiati e delle metodologie seguite dalla maggior parte degli studiosi. I lavori riguardanti argomenti meno frequentati, così come quelli che criticano nelle sue premesse l’approccio di base seguito dalla maggioranza, o che seguono strade alternative, non trovano di fatto spazio nelle riviste che più ‘pesano’ nelle valutazioni oggigiorno. La procedura di nomina dei referees non viene spesso neanche avviata; i direttori delle riviste suggeriscono direttamente di sottoporre tali lavori a riviste ‘più specializzate’. Una scelta legittima per una rivista; ma non vi è ragione per cui il merito di un ricercatore debba riflettere l’accordo con la linea editoriale delle riviste più ‘quotate’. Viene così attribuito a direttori e referees di riviste “in” un potere di valutazione generale della ricerca che eccede la loro funzione naturale. Ad esso si accompagnano conseguenze gravi per lo sviluppo della disciplina. Esse riguardano: a) la libertà di ricerca, per la spinta così data a dedicarsi ad argomenti che consentono la pubblicazione sulle riviste in questione, piuttosto che ai temi per cui si avrebbe uno spontaneo interesse; b) l’incoraggiamento a conformarsi alle premesse condivise dalla maggioranza anche nella eventuale intenzione critica, e lo scoraggiamento al lavoro indipendente e realmente innovativo: conseguendo così l’ effetto opposto a quello che dovrebbe essere proprio della valutazione della ricerca; c) l’etica stessa della ricerca, a causa del conformismo intellettuale che ne discende, con il conseguente allontanamento dalla disciplina dei giovani più interessati a una autentica ricerca scientifica.



Non si può dimenticare che l’accesso alle riviste più ‘quotate’ dipende, oltre che da una indubbia competenza nell’ambito degli indirizzi propri di tali riviste, anche dalla capacità di stringere rapporti personali con studiosi influenti sulle scelte editoriali delle principali riviste.

L’alternativa – sempre preferibile, a parere di chi scrive – è costituita dalla valutazione diretta dei contributi di ricerca attraverso la loro lettura effettiva accompagnata da un giudizio specifico su di essi. L’assunzione di responsabilità da parte di chi valuta, mediante giudizi resi immediatamente pubblici, e da cui i valutatori possono essere essi stessi giudicati, penalizzerebbe comportamenti scorretti.



Siamo consapevoli degli abusi presenti e passati e li stigmatizziamo. E’ però illusorio pensare che essi siano contrastabili con regole meccaniche. Venendo a mancare le forme tradizionali si farebbero strada rapidamente altre forme di distorsione, come la manipolazione dei risultati bibliometrici, della cui possibilità e natura si è autorevolmente scritto. Le discriminazioni così introdotte possono ledere in modo non rimediabile lo sviluppo di una disciplina che come ogni scienza richiede la libertà di scelta degli argomenti e delle modalità con cui studiarli, specie in un periodo di diffuso disagio sullo stato complessivo degli studi economici come quello che si registra ormai da diversi anni. L’economia è un campo assai disturbato dalla potenza degli interessi stessi che essa è chiamata ad esaminare. Un’atmosfera di assoluta libertà intellettuale le è quindi indispensabile.

Per concludere: spesso si considera esempio di buona ricerca quella che viene dagli USA. In una inchiesta promossa dalla nostra Società degli Economisti tra i responsabili del reclutamento nelle migliori Facoltà di Economia americane in merito all’uso dei criteri bibliometrici per valutare la ricerca (si veda Riv. ital. degli econ., 2007(2), pp. 255-8) uno di essi, riflettendo peraltro il tenore delle rimanenti risposte, dichiara: “Francamente, se i lavori accademici venissero valutati in questo modo meccanico, gli Stati Uniti non sarebbero alla guida dell’attività scientifica”. E noi, dobbiamo proprio sentirci così diversi?

Giacomo Becattini, Enrico Bellino, Pierangelo Garegnani, Giorgio Lunghini, Sergio Parrinello, Luigi Pasinetti, Pierluigi Porta, Piero Tani, Gianni Vaggi, Alessandro Vercelli