Di fronte alla richiesta di un commento al documento della Compagnia delle Opere “Una scuola che parla al futuro”, confesso di trovarmi in difficoltà. Abbandonata per motivi di tempo e di spazio la tentazione di chiosare punto per punto analisi e proposte, inizierò con il sottolineare l’importanza culturale delle considerazioni introduttive, il cui potenziale di innovazione nello stagno in tempesta della scuola italiana (mi rendo conto che è un ossimoro, ma di fatto la scuola è una realtà paludosa che non trova mai quiete) è molto elevato. Il documento asserisce che l’educazione non riguarda solo i giovani, richiede la presenza di figure adulte autorevoli, è responsabile di fornire ai giovani gli strumenti conoscitivi necessari per potersi orientare nel mondo. Come dice il documento della CEI sulla questione educativa, «ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni», ma nel farlo non è sola. Il rapporto educativo, scrive Benedetto XVI, «è anzitutto l’incontro di due libertà», che coinvolge in un rapporto personale sia chi educa sia chi viene educato, un rapporto in cui crescono entrambi. Ma a parte le citazioni chiesastiche, tutta la ricerca educativa sottolinea come non esiste educazione efficace in mancanza di un’idea convincente di futuro (una vision della scuola, come dicono gli studiosi di organizzazione), trasmessa da “maestri” responsabili e degni di stima. Caratteristiche assai poco presenti in una scuola che ha abbassato i propri obiettivi fino alla mediocrità, e tratta i suoi operatori come dipendenti un po’ ottusi.
L’accordo con questi punti può generare un programma di azione che riguarda la professionalità degli insegnanti, l’uso del tempo scuola, il rapporto fra “dentro” e “fuori” la scuola, l’introduzione di una valutazione sistematica come garanzia di una affidabilità dell’istituzione, la valorizzazione delle diverse esperienze e modalità di formazione viste come opportunità e non come legittimazione di gerarchie sociali preesistenti. In mancanza di questo – sintetizzando potremmo dire “in mancanza di un senso” – ogni riforma si traduce in una serie di provvedimenti tecnici più o meno adeguati, ma scarsamente motivanti, e la scuola diventa un luogo dove predomina la noia, per chi ci insegna e per chi ci studia. Colpisce che, in una recentissima indagine promossa da Treellle sull’immagine della scuola fra i giovani adulti (fra 19 e 25 anni), il 57% si sono dichiarati “abbastanza” soddisfatti, senza differenze fra Lecce, Bologna e Siena, 23 poco o per niente e solo 20 molto o moltissimo (uno!). L’unica voce in cui la soddisfazione si aggira sulla metà delle risposte sono i rapporti con i compagni: per i rapporti con gli insegnanti ci si ferma a 27.
A parte le premesse, peraltro fondamentali, nell’ordine di priorità dei provvedimenti io metterei il potenziamento dell’autonomia, la qualificazione dei personale (sia nei percorsi formativi che nei meccanismi di reclutamento, carriera e valutazione), la realizzazione di un vero sistema integrato fra scuole pubbliche e paritarie, che comporta un cambiamento dei meccanismi di finanziamento con il passaggio alle quote capitarie e il potenziamento dei meccanismi di costruzione di una maggiore equità, e l’avvio della valutazione grazie ad un’agenzia che è stato impossibile strutturare come un’authority, ma che deve godere di ampia autonomia. Mi lascia un po’ perplessa, perché lo vedo come poco coerente con il resto delle proposte, il punto relativo agli ordinamenti, che mi pare una cornice, mentre gli altri compongono il quadro. Ma non ho avuto il tempo di pensarci a fondo.
Mi auguro di tutto cuore che proposte come quella della CdO, basate su di una realtà ricca di sperimentazioni positive, possano smuovere la vischiosità burocratica delle riforme in atto o variamente annunciate, anche se molte esperienze passate mi portano a pensare che la centralità dell’educazione sia ancora lontana dal passare dalle parole ai fatti, e dagli auspici alla decisionalità politica. Purtroppo i tempi lunghi della scuola mal si accordano con il respiro breve dei politici, e l’altruismo di costruire per il futuro della società anziché per il consenso è veramente poco diffuso.