Nell’era della comunicazione usa e getta mi soffermo a riflettere su un evento di cronaca sui generis. E’ noto che il termine della scuola costituisce ogni anno un evento traumatico per molti giovani e adolescenti oltreché per insegnanti alle prese con la difficile valutazione finale del rendimento scolastico. Giudicare le prestazioni dei propri alunni equivale ad esaminare se stessi.



Mentre leggo i maggiori quotidiani nazionali il mio pensiero corre a Calderon della Barca e al suo libro La vita è sogno. Ciascuno ha un ruolo sul palcoscenico della vita; poco importa se protagonista o semplice comparsa. Nella metafora scenica la rappresentazione riuscirà meglio se tutti contribuiranno personalmente a renderla corale. Questo – in sintesi – il messaggio del libro.



In una scuola elementare dell’hinterland milanese la recita di fine anno scolastico è stata sospesa. Uno degli attori si è tolto la vita nella sua cameretta legandosi intorno al collo un laccio sfilato dai pantaloni della tuta mentre la mamma andava a comprare il vestito da ammiraglio all’unico figlio che le aveva mostrato la nota sul diario. “Nonostante i continui richiami Andrea non segue le lezioni e disturba i compagni”. “L’ho sgridato, non dovevo” ripete a tutti la mamma dimessa dall’ospedale dopo il ricovero sotto shock. E’ lei che l’ha trovato e ha tentato di soccorrerlo…



L’antefatto. E’ l’ultimo giorno di scuola e c’è confusione. Ma la situazione sfugge di mano e la maestra si trova a dover gestire uno dei tanti momenti di emergenza durante i quali è difficile stabilire chi sta davvero disturbando. Tutta la classe o i soliti approfittatori? Occorre mostrarsi risoluti, prendere decisioni immediate, prima che suoni la campanella.

La decisione maturata per arginare la situazione è quella di mandar fuori dalla porta uno e scrivergli una nota sul diario. Un bambino di nove anni normodotato e valutato in modo brillante dal punto di vista dell’apprendimento finisce col diventare il capro espiatorio e non regge alla frustrazione, forse sopraffatto dal dolore e dalla vergogna. Ma soprattutto è stato lasciato solo.

I giornalisti danno risalto alla vicenda e interpellano i soliti luminari. La dirigente scolastica parla di gioco finito male, la maestra è distrutta dal dolore e dal senso di colpa. Ma allora esiste un nesso di causalità tra l’accaduto scolastico e il tragico epilogo familiare? Cosa è accaduto veramente durante  quegli istanti? Può un solo bambino ingenerare tanta confusione? Che cosa facevano gli altri? Caos!

Questo è il nodo cruciale cui rispondo secondo l’esperienza pregressa. Andavano puniti anche altri. Nella stesura del piano dell’offerta formativa servono indicazioni di metodo condivise dal corpo docente chiamato a far fronte ad ogni evenienza. La responsabilità spetta dunque al datore di lavoro.

Interrogarsi è indispensabile, qualcosa non ha funzionato ed ora si adducono argomentazioni insulse. Perdere la capacità di critica e giudizio è il deficit maggiormente pericoloso secondo Oliver Sacks. Potrebbe essere questo il tallone d’Achille della docente, provata dallo stress di fine anno.

La povertà di strumenti educativi ma anche la stanchezza accumulata hanno completato il quadro. Chi forma in itinere gli insegnati nel contesto del loro mutato ambiente lavorativo? La scuola a tempo pieno impegna duramente sia gli alunni sia i loro docenti. C’entra qualcosa la sicurezza nelle scuole con questa tragedia? Domande retoriche alle quali gli organi competenti devono dare una risposta affinché non si ripetano altre “fatalità” e i dirigenti scolastici se ne lavino nuovamente le mani. Indagherà la magistratura, ma il palcoscenico della vita ha perso l’ammiraglio, solo contro tutti.