Il 9 novembre del 1989 cadde il Muro di Berlino. Non è che cadde e basta. Fu proprio squassato, tirato giù blocco di cemento per blocco di cemento, da uomini che avevano bisogno di questa opera fisica e simbolica per poter respirare a pieni polmoni. Respirare, sentire l’aria fredda entrare nella gola come un soffio liberatore. E il primo gesto non fu spargere sangue, come le rivoluzioni fanno sempre, ma la musica. Mstislav Rostropovich, il grande meraviglioso violoncellista amico di Solgenitsin, improvvisò un concerto. Andò sotto ciò che restava del muro e inondo di armonie l’aria di Berlino, il mondo intero. Solo la musica, solo la bellezza poteva spiegare, penetrare, proporre l’essenza di quanto accadeva. Gli uomini e i popoli hanno dentro di sé una scintilla che i tiranni si illudono di aver spento, o di controllare con gli assassinii o i lager, ma ecco quando tutti paiono stanchi, bisognosi solo di condurre una modesta vita decorosa, ecco che la tirannide diventa insopportabile, ci si accorge che vivere da uomini esige di poter vivere secondo le dimensioni piene della libertà e della verità, senza aver paura che di notte qualche gendarme incappottato bussi all’uscio urlando: polizia!



La libertà e la democrazia erano diventate parole d’ordine dei movimenti rivoluzionari dell’Europa orientale. Strani movimenti rivoluzionari: senza armi, senza fucili. Ci sono due tipi di rivoluzione, abbiamo scoperto allora. Una d’assalto. L’assalto alla Bastiglia, l’assalto a Pietroburgo del Palazzo d’Inverno dello Zar Nicola. Una di assedio. La gente si raduna, cerca di parlarsi, di essere solidale (“Solidarnosc”, cioè solidarietà), scrive testi dove comunica ciò che profondamente crede (il Samizdat in Unione Sovietica e in Cecoslovacchia). La repressione interviene pesantemente. Incarcera, picchia. Ma invece di spegnere come sempre il fuoco imprevedibile, quella volta misteriosamente più il potere schiaccia, più il popolo si rialza, si raduna, l’onda dell’assedio cresce, non violenta, consapevole della propria forza che è materiale ma si radica nella verità.




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Questo è accaduto a partire dal 1989. Libertà e democrazia si sono affermate perché sentite nell’intimo da chi aveva sperimentato sul collo il tacco dello stivale tirannico. Anzi, è accaduto prima del 1989. Quando in Russia ci sono uomini che hanno cominciato a “vivere senza menzogna”, come spiegò a Stoccolma il premio Nobel Aleksandr Solgenitsin. Come fecero gli operai polacchi di Danzica, radunati intorno al Papa e alla potenza dirompente del suo messaggio.

 



 

Con l’affermazione della democrazia (la possibilità di votare i propri governanti, innanzitutto) e della libertà politica (che coincide con il potersi radunare, fondare partiti, esprimersi, circolare) la storia non finisce. Si tratta di usare la democrazia e la libertà formali per giungere a una democrazia e a una libertà sostanziali. Non è colpa della democrazia e delle sue regole se una crisi morale (prima e causa di quella economica) travolge oggi l’Occidente. La democrazia e la libertà sono come bicchieri in cui gli uomini versano il loro vino. Vino buono o cattivo, a volte veleno, da cui difendersi. Sempre con le armi della libertà e della democrazia, non ce ne sono in giro di migliori. Guai dunque a chi prova a rompere o sporcare quei bicchieri di delicato cristallo.

 

 

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