Oggi, con la prova scritta di italiano, iniziano gli esami di stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria di secondo grado. L’esame di stato non presenta grandi novità se non quella del punteggio, in quanto da quest’anno gli studenti si presentano alla prova d’esame con un credito che può arrivare come massimo a 25 punti, quando gli anni scorsi era di 20. Peccato che non ci si sia accorti che con il cambiamento del punteggio iniziale avrebbe dovuto cambiare anche il punteggio minimo per usufruire del bonus; ma accade così quando si fanno le correzioni in corsa … 



Gli studenti si trovano quindi ad affrontare una tipologia di esame che ormai si è affermata dentro la scuola; è dal giugno-luglio del 1999 che l’esame si svolge secondo la formula delle tre prove scritte e del colloquio a partire da un argomento proposto dal candidato e che ha come meccanismo valutativo quello della somma di punteggi. Che sia rimasto così per dieci anni non è un segno positivo, in quanto questa formula d’esame porta dentro di sé una meccanicità che rischia di essere penalizzante. 



Che la valutazione sia tendenzialmente meccanica è troppo evidente perché se ne discuta, ma anche le prove hanno questo rischio, soprattutto quella di italiano dove ormai è diventata dominante la modalità del taglia-incolla, che è proprio ciò che svilisce le capacità critiche degli studenti. Quanto alla terza prova, è quanto di più nozionistico ed inutile ci possa essere; e che vi sia qualcuno che la voglia predisposta dal Ministero è preoccupante. Bisognerebbe spiegare a costoro che la terza prova non ha nulla a che fare con la vita quotidiana della scuola, per cui predisporla e valutarla è un’astrazione indebita. Gli studenti si trovano ad affrontare un esame vecchio e contradditorio, il che rende la loro prova ancor più di valore, perché non solo devono districarsi nei contenuti che hanno imparato, ma devono anche trovare la via d’uscita di questo labirinto che si chiama esame di stato.



Come potranno trovarla questa via d’uscita? Semplice: non adeguandosi al meccanismo dell’esame, ma dominandolo. E lo si fa in unico modo: mettendo in gioco la propria umanità, la propria genialità, la propria criticità. L’esame di stato è un’occasione per mettere alla prova se stessi, perché da un certo punto di vista è la prima prova seria della vita. Si può affrontarla conformandosi alle sue richieste; si può invece assaltarla per portare alla luce chi si è. Per questo l’esame di stato è una cartina tornasole: da come ogni studente l’affronta si capisce di che stoffa è, se una persona con la ragione aperta alla realtà o se una persona annichilita dal potere della scuola. Una persona, come scriveva Pierpaolo Pasolini, “prigioniera del proprio infimo cerchio di sapere, e che si scandalizza di fronte ad ogni novità “. Per arrivare all’esame in modo diverso, per poter parlare di sé, per poter rendere ragione delle proprie conoscenze e delle proprie capacità bisogna però aver fatto un cammino, bisogna aver vissuto lo studio come occasione di una ricerca personale, come confronto con le proprie esigenze di vero e di bello, e in questa direzione bisogna aver privilegiato un approccio sintetico nella preparazione all’esame.

Se questo è il problema serio di ogni studente, quello cioè di non fare un passo indietro rispetto alla ricchezza umana che si porta, lo stesso vale per ogni insegnante che andrà a comporre le Commissioni di esami. Di fronte ad una procedura equivoca – e meno male che è equivoca! – è di grande importanza la modalità con cui ogni insegnante affronterà l’esame. Sono due le possibili tipologie di commissario d’esame, come del resto si è visto in questi anni: la prima è l’insegnante che ha a cuore il perfetto funzionamento del meccanismo, per cui non fa altro che applicare le procedure; la seconda è invece l’insegnante che affronta l’esame per andare a scoprire la novità che ogni studente porta.

Un esame di stato ha bisogno del secondo tipo di insegnante: non ha bisogno di insegnanti che imbrigliano gli studenti in griglie e grigliette, ma di insegnanti che sappiano valorizzare il lavoro personale di ogni studente, la sua originalità. Ha bisogno di insegnanti che durante le prove d’esame vadano a caccia dell’umano.

Del resto è solo questo che rende interessante un esame tanto assurdo: che vi siano studenti e insegnanti che lo vivano come una possibilità di raccontare come la conoscenza incrementi l’umano. L’augurio è questo allora: l’augurio di un esame all’attacco dell’umano. E ce n’è, il bello è che ce n’è!

(Gianni Mereghetti)