Tempo di elezioni. Da un capo all’altro del continente europeo, quasi mezzo miliardo di persone discute e sceglie i propri rappresentanti. Cittadini singoli, gruppi organizzati, partiti determinano l’arena del dibattito. Per viverla occorre usare un lessico. Questo lessico si è costituito lungo tutto il secolo XX, ma in particolare nel secondo dopoguerra, dopo il 1945. Tempo di esami di maturità. Provate a gettare sui banchi dei ragazzi di una quinta classe superiore qualche nome, qualche lemma, qualche –ismo, a caso: De Gasperi, la NATO, Suez, Cuba, Ungheria ’56, miracolo economico, sequestro di Aldo Moro, Prima linea, Mani pulite, Concilio Vaticano II, il ’68, il 1989, la rivoluzione di velluto, le guerre jugoslave, Bicamerale, Titolo V, federalismo, sussidiarietà ecc… Oppure: Heidegger, Heisenberg, Camus, Bellow, Solgenitsin, Walesa, Havel, Gorbaciov, Reagan, Luzi, Severino, Ratzinger, Montale… Oppure: crisi dei fondamenti, nichilismo, indeterminismo, esistenzialismo, ermeneutica, pensiero debole, crisi del marxismo… La risposta a queste provocazioni è quasi sempre uno sguardo perduto, appeso al nulla. Chiedo, a fine maggio 2009: a che punto siete arrivati con la storia (degli eventi, della filosofia, della letteratura…)? Risposte: alla Resistenza, a Hegel, a Pascoli…
Un dato è certo: il ’900 è sostanzialmente escluso dall’orizzonte intellettuale dei nostri diciottenni. Eppure il passato più immediatamente influente sul loro lessico, sulla loro autocoscienza, sulla loro collocazione nel mondo è quello degli ultimi cento anni. Mentre l’intera tradizione precedente è – o dovrebbe – essere filtrata dalla mediazione didattica, il ‘900 manca all’appello. Possono sapere delle Guerre pelopponesiache, ma non della “primavera di Praga”. Le vite di questi ragazzi sono radicate nel ‘900, ma non lo sanno. I ragazzi si inoltrano vero il futuro, fanno scelte, tengono comportamenti, senza disporre dell’infrastruttura conoscitiva, senza bussola. Nel secondo dopoguerra, le epurazioni dei manuali ideologici del fascismo e la sua riduzione crociana a “cattiva parentesi” hanno portato i manuali di storia a fermarsi alla Prima guerra mondiale. Negli anni ’60 e dopo il ’68, i manuali si riempiono di contemporaneità. La Resistenza e il Dopoguerra fanno irruzione nelle classi, i libri di testo aggiornano gli ultimi capitoli fino al tempo presente. E, tuttavia, un conto sono i manuali, un conto i programmi della scuola reale. Benché tendenzialmente sostituito da Indicazioni nazionali a maglie larghe, il Programma, via-libro di testo, ha continuato a scandire il passo dell’insegnamento/apprendimento. E a lasciare indietro almeno mezzo ’900.
Consapevole di questo, Luigi Berlinguer emanò delle Indicazioni nazionali-Programmi che collocavano obbligatoriamente lo studio del ‘900 all’ultimo anno delle superiori. All’epoca si ribellarono a questa prospettiva non solo l’intero centro-destra, ma anche storici e politologi quali Galli della Loggia e Angelo Panebianco, i quali paventarono il ritorno alla scuola ideologica di regime, questa volta di sinistra. Altri rincararono la dose, sostenendo che la storia contemporanea non si presta ad essere insegnata, perché attraversata da passioni di parte. Sembrò confermare questi timori la famosa e improvvida circolare n. 88 del 6 febbraio 1997, in cui Luigi Berlinguer invitava le scuole a commemorare per il 27 aprile il 60° anniversario della morte di Antonio Gramsci. In ogni caso, la scuola reale ha continuato con il suo tran-tran. Sono passati i governi e i Ministri, è incominciato il XXI secolo, ma il ‘900 resta fuori. E’ uno scandalo e un crimine educativo.
Servono nuovi programmi o nuove circolari? No, occorre semplicemente prendere sul serio le necessità intellettuali e educative della generazione che ogni anno esce per sempre dalla scuola. Basta un’assunzione di responsabilità educativa delle comunità-tecnico professionali degli insegnanti delle scuole autonome per organizzare in modi interdisciplinari l’attività didattica dell’ultimo anno attorno al ‘900: storia politica, filosofica, letteraria, artistica. Tutto ciò nella pluralità di opzioni e interpretazioni, prevista dalla libertà di insegnamento. Ci sono rischi di ideologismi? Certamente. Ma l’ignoranza crassa è pessima. D’altronde, rischio per rischio, quello di educare deve essere sempre corso.