Ilsussidiario.net si è occupato con un articolo di Tiziana Pedrizzi della vicenda dell’ordine del giorno approvato dal Consiglio Provinciale di Vicenza (proposto dall’assessore Pdl, votato anche dal Pd) che “respinge i presidi del Sud”, questo il titolo sulla prima pagina di Repubblica del 23 u.s. Con questo contributo vorrei aggiungere alcune riflessioni sulle possibili “soluzioni” e una considerazione di attualità politica.
Infatti non sono mancate le accuse di razzismo, in parte a causa dei titoli poco chiari che i quotidiani hanno dato alla notizia, in parte – credo – per un certo pregiudizio di certa sinistra verso chi fa politica nel Pd al Nord. Lo ha fatto Miriam Mafai su Repubblica scomodando l’apartheid, lo ha fatto Gad Lerner sul suo blog, dove è arrivato a parlare di antimeridionalismo (e ci può stare se non si è letto l’ordine del giorno), ma poi ha aggiunto: Violato il tabù, il degrado ideologico si rivela contagioso e ora “sporca” anche il Pd. Urge un’azione di pulizia. A parte che sentire Gad Lerner invocare “pulizia” (etnica?) fa un po’ impressione, proviamo a capirci qualcosa di più.
Il casus belli – lo ha ben spiegato Tiziana Pedrizzi – sono le graduatorie per dirigenti scolastici e il fatto che la norma che ha istituito il concorso anni fa, prevedeva la possibilità di dichiarare idoneo al massimo il 10% in più rispetto ai posti disponibili, per far fronte ai previsti pensionamenti. In alcune regioni è stata rispettata la norma, in altre si è deciso che sarebbe stato più opportuno chiudere un occhio e “abilitare” un più o meno grande numero di persone in più e metterle in coda, come per gli insegnanti, come per il concorso da netturbino, capostazione, messo comunale. Indubbiamente queste regioni avevano le loro ragioni, visto che – persone di mondo – sapevano benissimo che concorsi non ce ne sarebbero più stati per molto tempo ancora, ma d’altra parte anche l’assessore di Vicenza ha ragione nel dire che non è giusto che oggi venga favorito chi ha fatto il concorso in una regione che non ha rispettato le regole.
Se vogliamo buttarla in politica (scolastica), diciamo che siamo di fronte alla prova ulteriore che il Concorso Pubblico e le Graduatorie (quelli con le maiuscole, quelli “come una volta”) di per sé non garantiscono equità di giudizio e parità di condizioni d’accesso. Ne avevamo già avuto sentore quando sono uscite le notizie di insegnanti precari che pagavano per truccare le graduatorie o di insegnanti costretti a comprare punti per la graduatoria, lavorando gratis o sottopagati per le scuole paritarie. Fatti di cronaca a parte, mi sembra evidente che, in attesa di passare a metodi di selezione più flessibili (procedure più snelle, possibilità di bandire concorsi da parte di reti di scuole…) e meritocratici (non limitarsi a titoli ed esami, ma far valere pesantemente la valutazione della carriera del docente che aspira a diventare dirigente), andrebbero introdotti due criteri semplici semplici.
Il primo: la validità di una graduatoria per un concorso come questo dovrebbe valere al massimo tre anni, cosa che sulla carta è già prevista, ma il Ministero fa fatica a rispettare la scadenza; a supporto di quanto proposto sopra, faccio notare che se le procedure concorsuali fossero più snelle, sarebbe più semplice garantire queste scadenze.
In secondo luogo, deve valere il principio che se uno si abilita in una regione, eserciterà la funzione (o la professione, Avvocato Gelmini!) in quella stessa regione per almeno tre anni.
Infine invito i critici a leggere l’ordine del giorno, dal quale si evince chiaramente che il razzismo c’entra assai poco. Si critica il governo, si sottolinea come il comportamento delle altre regioni (rammentate: contrario alla legge!) stia penalizzando alcuni cittadini che si vedono preclusa una possibilità di carriera (di fatto l’unica nella scuola italiana, giova ricordarlo), si chiede – sempre al governo – di correre ai ripari, si paventa che queste sedi saranno lasciate vacanti da dirigenti che – entrati in ruolo – chiederanno quanto prima il trasferimento nella loro regione di origine.
Posizione criticabile, forse, ma da lì a parlare di razzismo e richiedere “pulizia” ce ne passa.
Infine una considerazione per chi si è meravigliato della posizione del Pd. Potrei cavarmela dicendo che chi si sorprende può stare tranquillo: il “processino staliniano” ai consiglieri del Pd è già cominciato, con Fioroni – ad esempio – che chiede loro abiure e definisce la loro posizione «incompatibile non solo con quella espressa dai democratici italiani, ma con il buonsenso». Ma il tema prescinde dal merito della vicenda ed è troppo importante per liquidarlo con una battuta. Cosa avrebbero dovuto fare i consiglieri del Pd? Votare contro? E perché? Perché (sono parole di Anna Finocchiaro) «[non poteva loro] sfuggire l’impatto simbolico che questa posizione politica produce e l’effetto che essa assume in un paese sempre più diviso e sempre più percorso da derive antimeridionalistiche»? Se il punto è questo, parliamone.
Perché quando si parla di Pd del Nord mi viene l’orticaria, ma mi sembra evidente che l’unica via che può percorrere il Pd al Nord è svincolarsi da certe logiche “utilitaristiche” e tenere sempre la discussione sul merito delle questioni, evidenziando le contraddizioni di chi grida “Roma ladrona” e poi governa da Roma contro gli interessi del Nord.
Bersani nella sua mozione congressuale afferma che «bisogna parlare la stessa lingua al Nord e al Sud» e che la chiave per poterlo fare è battersi per la riforma dello Stato. Lo Stato inefficiente è l’alibi del Nord per manifestare la propria insofferenza verso il Sud ed è il primo ostacolo al riscatto del Sud stesso.
Questa vicenda di Vicenza mi sembra molto emblematica anche da questo punto di vista.