Le prime pagine dei giornali di sabato 25 luglio hanno annunciato, con grande enfasi, l’introduzione di un nuovo meccanismo di valutazione delle università statali, finalizzato a premiare gli atenei migliori. In questa breve nota, s’intende fornire qualche spunto di riflessione sulle reali novità di questa riforma.
È bene preliminarmente precisare che un sistema premiale di finanziamento delle università è in vigore, nel nostro Paese, sin dal 2004. L’allora Ministro Moratti stabilì che una parte dei finanziamenti pubblici sarebbe stata allocata sulla base di una formula definita dal Comitato Nazionale di Valutazione. Tale formula, che è stata utilizzata dal 2004 al 2008, era costituita da tre componenti: (I) 33% da indicatori legati alla didattica (essenzialmente, il numero di studenti), (II) 33% da indicatori sui risultati della didattica (crediti formativi acquisiti e numero di laureati), (III) 33% da indicatori sulla ricerca (numero di ricercatori attivi, risorse attratte con contratti esterni, ecc.). A ben vedere, questi indicatori non sono molto diversi da quelli oggi utilizzati nell’ambito della riforma Gelmini – e, dal punto di vista dei detrattori di questa politica, sono almeno altrettanto questionabili.
Dell’utilizzo di questa formula si è discusso poco in questi anni, fondamentalmente per due ragioni. Anzitutto, in un contesto di risorse pubbliche crescenti (anche se in termini modesti, come dal 2000 al 2007) la formula ha inciso solo marginalmente sulle risorse “base” degli atenei, i quali di fatto erano in competizione solo su risorse “aggiuntive” – negli ultimi anni, a ciascun ateneo era garantito oltre il 99% delle risorse dell’anno precedente. Inoltre, l’ammontare complessivo – in termini assoluti – delle risorse allocate attraverso la formula era piuttosto contenuto, e non era in grado di stimolare adeguatamente reazioni importanti da parte dei rettori. In altre parole, il Ministro Moratti aveva avuto l’idea giusta, ma le modalità applicative di questa idea l’hanno resa, di fatto, poco incisiva.
I veri cambiamenti imposti dal Ministro Gelmini sembrano essenzialmente due: (I) l’utilizzo del modello di finanziamento competitivo per l’allocazione di una parte consistente di risorse pubbliche (7% nel 2009), e (II) la valorizzazione della ricerca come aspetto più importante per ottenere un “posizionamento” migliore nel ranking. Si noti, peraltro, che in un contesto di risorse pubbliche costanti (anno 2009) o addirittura decrescenti (previsioni per il 2010), l’effetto competitivo della formula di finanziamento è accentuato: per attribuire maggiori risorse all’ateneo X, è necessario sottrarre risorse all’ateneo Y.
Da questo punto di vista, la scelta degli indicatori da utilizzarsi nella formula appare come un elemento chiave per la credibilità del processo. Non si discuteranno qui le prime proteste sollevate da alcuni rettori, che appaiono più guidate dalla necessità di difendere una posizione che da una critica ragionata al metodo. È stato positivo avviare l’iniziativa, per dare vita il dibattito e costringere tutti (rettori, docenti, politici, ecc.) a confrontarsi con un sistema di valutazione reale – e non solo con la retorica della valutazione. Tuttavia, per la possibilità di consolidare il meccanismo di valutazione, e anzi renderlo più cogente (l’obiettivo di legislatura è portare la quota allocata in modo competitivo al 30%), occorre avviare una riflessione più “raffinata” sugli indicatori. Ad esempio, il tempo necessario per trovare lavoro dopo la laurea misura la qualità della didattica? Oppure sarebbe più opportuno cercare di capire anche la coerenza tra lavoro ottenuto e titolo di studio? O ancora, le risorse attirate per contratti di ricerca è un buon indicatore, o il numero di pubblicazioni (magari differenziato per tipologia e settore) sarebbe più significativo?
A tutte queste domande, nel disegno ministeriale, dovrebbe arrivare risposta da parte della nuova agenzia (ANVUR), il cui regolamento è stato approvato nell’ambito del medesimo Consiglio dei Ministri. Appare necessario, a questo punto, accelerare tutte le procedure del caso, per rendere operativa l’Agenzia in tempi brevi, e dare continuità a solidità a questo nuovo processo che, se ben articolato, potrà contribuire a migliorare le prestazioni del nostro sistema universitario.