Sul reclutamento degli insegnanti, oggetto degli artt. 12 e 13 del nuovo testo unificato delle proposte di legge n. 953 di Aprea, 808 e 813 di Napoli, 1199 di Frassinetti, 1262 di De Torre, 1468 di De Pasquale e 1710 di Cota, si è aggrovigliato un nodo, i cui fili vorremmo tentare di dipanare per i nostri pazienti lettori. Rinviando alla lettura integrale del Testo unificato, qui accanto, e degli articoli appena citati, si può solo osservare che il testo propone l’istituzione degli Albi regionali e l’accesso ai concorsi per titoli. Si tratta grosso modo del tentativo di stabilizzare gli insegnanti sullo stesso posto e di far contare le autonomie scolastiche insediate sul territorio nel reclutamento dei docenti. Significa anche che nei test di reclutamento si debba prevedere la conoscenza del dialetto locale? Secondo l’on. Goisis, rappresentante veneta della Lega nella Commissione cultura della Camera, sì! Secondo il capogruppo della Lega alla Camera, l’on. Cota, no! I giornali nazionali titolano di sì, il Ministro sfuma i toni, riducendo la faccenda all’esigenza che gli insegnanti reclutati conoscano le tradizioni locali, non necessariamente il dialetto, che, del resto, è ormai poco parlato anche dagli “indigeni”.



Per capire occorre una (buona) dietrologia! Il PdL Aprea, già presentato come proposta-bandiera all’epoca del Ministro Fioroni, viene subito ripresentato allo scoccare della nuova legislatura, ministro Gelmini. Il senso è chiaro: collocare un segnaposto riformista, che salvi il nocciolo razionale della Riforma Moratti, i cui destini sono già stati gravemente pregiudicati da Fioroni e che il nuovo ministro non si mostra frettoloso di rilanciare. Autonomia statutaria delle autonomie scolastiche, Fondazioni, nuova governance delle scuole, formazione iniziale degli insegnanti, stato giuridico, reclutamento, carriere: questi i punti. L’on. Valentina Aprea diviene, all’inizio della legislatura, presidente della Commissione cultura. Dall’alto di questo scranno tenta di coinvolgere le opposizioni, in primo luogo il Pd in un disegno riformatore condiviso, anche a costo di rinunciare a dei pezzi. L’hanno fatto in America Repubblicani e Democratici, perché da noi no? Il ministro Gelmini lascia fare e appoggia dall’esterno: l’autunno 2009 non si prospetta tiepido, se il Pd fosse disponibile a condividere responsabilità, tanto meglio. D’altronde il Ministro Tremonti fin dall’estate 2008 si muove con decisione e impone tagli e risparmi a un ministero dell’istruzione, che ha sempre speso moltissimo, in cambio di un’istruzione di livello sempre più basso. Ed è anche noto che le Regioni finanziariamente più virtuose stanno al Nord, dove i livelli sono “europei”, mentre quelle delle spreco stanno al Sud e mostrano anche le performance peggiori. Nell’estate 2009 il DPEF 2010-2013 conferma gli orientamenti dello scorso anno. Né potrebbe essere diversamente. Intanto, nel mese di giugno/luglio 2009 un passo ulteriore viene compiuto con la definizione di un Testo unico, sulla base di vari PdL precedenti. Pare che il treno stia per arrivare in stazione. Sarebbe la prima volta. Già le forze più disponibili all’innovazione, intellettuali del ramo, pessimisti storici ben contenti di essere smentiti stanno preparando i fiori e la banda per l’accoglienza trionfale. Invece non arriverà più, il PdL finisce su un binario morto, lì appena fuori dalla stazione. Se mai dovrà ripartire, non sarà più per iniziativa della Commissione, bensì della Conferenza dei Capigruppo alla Camera, in primo luogo quelli di maggioranza, in accordo necessario con il governo. Che cosa è successo? Intanto il PD, in piena fase congressuale, si è letteralmente dissolto nella Commissione. Mentre qualche deputato PD, confortato dalle prese di posizioni culturali delle Fondazioni quali Astrid di Bassanini, si impegna su un filone di innovazione, Franceschini corre davanti al Ministero, accompagnato da quasi tutti i membri della Commissione cultura della Camera, a portare la solidarietà ai precari, che innalzano truci cartelli contro il PdL Aprea: «PdL Aprea, mors tua, vita mea!». Perché in America si possa fare insieme la legge No Child Stay Behind e qui no è presto spiegato: là esiste un comune terreno liberale, che repubblicani e democratici interpretano rispettivamente in modo più conservatore o più liberal. Il PD la terra liberale non l’ha ancora raggiunta. L’assenza di un’opposizione competitiva e collaborante finisce, così, per inasprire le tensioni all’interno della maggioranza e nel governo. Un leader più debole dopo le elezioni europee, una Lega più aggressiva, la posta in gioco delle prossime elezioni regionali, lo scoppio clamoroso di una “questione meridionale” sul tema della sanità, cui fa eco un’insorgenza settentrionalista: questo è il quadro politico che preme sul merito delle questioni, fino a piegarlo a seconda delle oscillazioni della politica. Ora tocca alla maggioranza e al governo. L’Allegato del Ministero dell’Istruzione al DPEF preannuncia «un vasto programma», che è una summula di tutte le buone intenzioni e di tutte le riforme utili e necessarie.



Quel che è certo è che le riforme o le farà la maggioranza o non le farà nessuno. Ma è anche certissimo che per fare riforme occorre investire sul Paese futuro, non sui sondaggi presenti. Di vittoria in vittoria, ciascuna pensata come il gradino per la prossima, si rischia di costruire una scala, che sporge sul nulla.

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