Il dibattito che si è aperto sulla proposta della Lega di introdurre test di ingresso per i docenti prima di accedere agli albi regionali mi è parso del tutto fuorviante. A parte la solita caricatura di una proposta che era già contenuta nel disegno di legge presentato da Roberto Cota e Paola Goisis alla Camera (art. 11 AC 1710), ai lettori non è stato spiegato il vero oggetto del contendere.



Pochi infatti, leggendo i titoloni dei grandi giornali, hanno capito di cosa si stava parlando e la polemica scontata contro il presunto razzismo leghista ha mascherato agli occhi dei più che si stava discutendo di un provvedimento davvero straordinario, quello presentato dalla On. Aprea (AC 953), e che, dopo lunghi mesi di audizioni parlamentari, era stato arricchito e aveva nel suo percorso allargato gli indispensabili consensi per giungere all’approvazione.



Com’è noto, in Italia il sistema scolastico soffre di cinque piaghe: mancanza di rigorosa selezione degli insegnanti e dei capi d’istituto, statalismo, centralismo, ipertrofia legislativa, autarchia organizzativa.

Pochi hanno creduto che il Pdl Aprea potesse fare una fine diversa da tutti i precedenti provvedimenti che avevano cercato di andare contro la santa alleanza tra burocrazia e corporativismo. Eppure, quando l’8 luglio scorso Franco Bassanini ha presieduto all’Astrid una riunione dedicata al provvedimento Aprea, arricchito e modificato da numerosi contributi scientifici e culturali di diversa provenienza, si è cominciato a ritenere possibile il miracolo di una legge sulla scuola ispirata al principio di sussidiarietà. Di norma in Italia l’innovazione non trova consenso e le lobby corporative sono invece sempre capaci di organizzare un consenso trasversale che blocca ogni innovazione.



La novità vera era costituita dal consenso che si stava realizzando attorno alla definizione di un testo unico che metteva finalmente insieme proposte innovative della maggioranza e dell’opposizione, in un Paese dove la scuola avrebbe bisogno di un disarmo ideologico multilaterale per diventare finalmente oggetto di visioni politiche di lunga durata e non teatro di campagna elettorale permanente.

È interessante notare le novità contenute nella bozza di testo unificato presentato dal relatore Aprea a luglio. Un testo che, a unanime giudizio dei migliori esperti di legislazione scolastica, costituisce un considerevole passo in avanti, sia sul piano delle tecnica giuridica, che della praticabilità delle soluzioni proposte. Il nuovo testo risulta più realistico, più snello e meglio strutturato.

Non c’è più la trasformazione delle scuole in fondazioni, ma è prevista per le scuole la possibilità di promuovere o partecipare alla costituzione di fondazioni e consorzi finalizzati al sostegno delle istituzioni scolastiche.

Tra gli organi di governo non compare più il Consiglio di Amministrazione (espressione apparsa ai più troppo aziendalista), ma il Consiglio di Istituto è sostituito da un Consiglio di Indirizzo snello ed efficiente.

Non è più previsto il finanziamento delle scuole sulla base del principio della quota capitarla (e questa è forse l’unica variazione che desta qualche perplessità in chi ritiene che la libertà della scuola cominci dal superamento del modello statale di finanziamento).

Quello che è importante è che nel testo unificato (di cui sarebbe auspicabile una discussione estesa almeno quanto l’inutile dibattito sull’antimeridionalismo leghista) sono rimaste le novità più significative che davvero potrebbero cambiare il volto della scuola italiana.

Innanzitutto la novità più importante: la carriera dei docenti con la fine dell’appiattimento egualitaristico e l’articolazione della professione docente in tre distinti livelli: docente ordinario, docente esperto e docente senior. A questa è strettamente collegata la riforma della selezione dei docenti realizzata attraverso albi regionali e concorsi finalmente al livello più vicino alle esigenze dell’utenza: la rete di scuole.

Inoltre il riconoscimento ad ogni scuola dell’autonomia statutaria con distinzione tra organi di governo, tecnici e di valutazione stabiliti per legge e organi di partecipazione stabiliti dagli Statuti delle istituzioni scolastiche. In parole povere, elaborato il lutto sul ’68, finisce l’epoca dei soviet scolastici.

A ciò fa da pendant la fine dell’assemblearismo e la riforma della governance delle scuole attraverso un Consiglio di Indirizzo con chiari poteri (approvazione e modifica statuto, deliberazione piano offerta formativa, approvazione bilancio e conto consuntivo, approvazione partecipazione a fondazioni e consorzi) e numero circoscritto di componenti (fra sette e undici).

Il superamento dell’autoreferenzialità delle istituzioni scolastiche si afferma attraverso la presenza nel Consiglio di Indirizzo di membri esterni scelti dalle scuole tra i rappresentanti delle realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi.

Come sarebbe bello discutere apertamente di questi temi invece di baloccarsi su luoghi comuni e polemiche senza costrutto che hanno l’unico scopo di allontanare per la nostra scuola il tempo del merito e della qualità.

(Claudio Gentili)