La recente polemica a seguito della sentenza n° 7076 del Tar del Lazio, che limita le competenze degli insegnanti di Religione Cattolica negli scrutini di fine anno, ha registrato le dichiarazioni di tutte le forze politiche e di numerose personalità del mondo della scuola e della cultura. Pietro Barcellona, docente di Filosofia del diritto all’Università di Catania, analizza per ilsussidiario.net  le conseguenze culturali della vicenda.



La sentenza del Tar si basa sull’assunto che «un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico». Cosa ne pensa?

Innanzitutto è il modo di procedere del Tar che mi lascia perplesso e non è la prima volta che va al di là delle proprie competenze. Ho in mente, ad esempio, il sapore velatamente ricattatorio del ricorso al Tar in ambito universitario e per questo mi auguro che si faccia una riforma complessiva della giustizia amministrativa. Per il resto è una sentenza che lascia moltissimi dubbi sul piano giuridico. Più che discutere di tecnicismi (che lascio agli esperti) però mi preme dire che questa decisione di declassare e mortificare l’insegnamento della religione nella scuola mi sembra una conseguenza drammatica del decadimento culturale in atto nel nostro Paese.



Cosa intende?

Vede, a mio parere non si tratta soltanto di un attacco alla Chiesa, ma a tutto ciò che di umanistico ancora persiste nella scuola italiana. Faccio un esempio: durante le vacanze ho letto “Melanconia e creazione in Vincent Van Gogh” di Massimo Recalcati. Descrive mirabilmente il rapporto tra il pittore e la figura di Gesù Cristo, che ha segnato la sua vita e la sua pittura: inseguiva l’assoluto. Come si può capire Van Gogh senza metterlo in rapporto alla religione? Poi ho letto “Gli inizi della Filosofia: in Grecia” di Michela Sassi, in cui viene descritto, tra le altre cose, come la questione religiosa sia radicata nella filosofia. Sono piccoli esempi di quanto la religione sia essenziale nella cultura e nella storia europea.



La scuola, secondo lei, rischia quindi di perdere una componente essenziale del proprio insegnamento?

Certamente. La scuola deve dedicarsi ai due campi del sapere: quello “tecnico” e quello “umanistico”, da cui non può togliere una componente fondamentale dal punto di vista formativo come la storia delle religioni. L’errore, come è già stato segnalato da altri, è stato confondere l’ora di religione con il catechismo. Questo insegnamento non è più quello di quando ero bambino io, ancora un po’ didascalico e dogmatico. È già una storia delle religioni e principalmente, com’è giusto, una storia dei monoteismi. Il rischio pericolosissimo che stiamo correndo è la frantumazione del sapere che fa perdere all’alunno la visione sintetica, arrivando agli eccessi di riconoscergli i crediti se partecipa al corso di torta al salmone, ma non se approfondisce la storia del Cristianesimo e delle religioni.

La Cei infatti ha dichiarato che se per laicità si intende «l’esclusione dall’orizzonte culturale e formativo civile di ogni identità si cade nel più bieco e negativo risvolto dell’illuminismo».

Non parlerei di illuminismo, ma di scientismo, che è un erede spurio dell’illuminismo. L’illuminismo ha portato tante cose buone, come la fiducia nei nostri mezzi razionali, diverso da alcune forme unilaterali di affermazione del sapere umano, che è molteplice e non può essere affidato a un solo metodo. Il fatto è che oggi combattono la Chiesa pensando che la sua influenza domini la società, quando il contesto culturale è diverso e la Chiesa è in una posizione minoritaria. A dominare, più che il relativismo, è lo scientismo. Basta guardare una trasmissione di Piero Angela in cui viene proposta una certa visione del mondo senza contraddittorio, come se fossero tutte evidenze trasparenti e scientifiche: dalla nostra presunta discendenza dai primati, ai temi della vita e dell’inseminazione artificiale.

Cosa risponde all’obiezione, alla base della stessa sentenza, per cui gli studenti di altre religioni a causa dell’ora di religione subiscono una discriminazione?

Mi sembra assurda, perché l’ora di religione è già facoltativa. L’unica cosa che viene discriminata è la religione cattolica, perché la scuola offre già diverse visioni del mondo, dall’evoluzionismo, all’ateismo. Due terzi della storia della Filosofia parlano di ateismo, hanno fondamenti a-religiosi. Chi è credente dovrebbe sentirsi discriminato e chiedere che queste cose non vengano insegnate? È un concetto ridicolo di discriminazione. A questa stregua ogni volta che uno esercita il diritto di parola discrimina qualcun altro.

                                                                                                                                               (di Carlo Melato)