Caro direttore,

Una doverosa premessa. Non sono cattolico e neppure posso dirmi cristiano. Non sono nemmeno assimilabile alla schiera degli “atei devoti”. Ho il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me, null’altro. Ho preso posizioni, anche pubbliche, su temi etici e bioetici, diverse da quelle sostenute, con una legittimità che non mi sono mai sognato di contestare, dal mondo cattolico e dal magistero ecclesiastico. Se incontri con quel mondo ci sono stati (e ce ne sono stati parecchi, come sanno tra gli altri gli amici di Diesse), sono stati su fatti, sul quotidiano operare che, nelle cose e sulle cose, ti consente di riconoscere con mente libera l’altro come tuo compagno di viaggio, per tratti brevi o lunghi del tuo cammino.



Quando mi sono trovato a coordinare la stesura del Regolamento sulla valutazione degli alunni, destinato a entrare in vigore dal prossimo anno scolastico, non ho avuto la minima esitazione ad accogliere e, come si suol dire, “elevare di rango” l’ordinanza Fioroni inserendola a pieno titolo nel regolamento. Un inserimento, come sottolineato dall’autorevole Tuttoscuola, che rende con ogni probabilità la sentenza del Tar Lazio priva di effetti concreti e immediati, e sul quale il Consiglio di Stato, severissimo giudice dei provvedimenti del Miur, non ebbe all’epoca nulla da obiettare.



Concordo pienamente con le motivazioni giuridiche e culturali esposte da Annamaria Poggi, le stesse motivazioni che mesi fa avevano sorretto le scelte del ministero.

Quanto al Tar Lazio, protagonista di una sentenza che lascia di stucco per il suo andare totalmente fuori dall’ambito di competenza di un tribunale amministrativo, non posso non sottolineare come questo sia l’ultimo di una lunga serie di atti che hanno cercato di ribaltare, per via amministrativa, decisioni prese dalla politica nella sua sovranità. Sino ad ora, il Consiglio di Stato ha rimesso ogni cosa al suo posto. E ho fiducia che lo farà anche in questo caso.



Mi consenta, direttore, un’ultima battuta. Sulla mia scrivania di non credente c’è una Bibbia. Non conoscere per lo meno le linee essenziali del cristianesimo e delle altre “religioni del libro” significa privarsi di strumenti indispensabili alla comprensione dell’arte, della filosofia, della musica e della letteratura occidentali; significa privarsi della possibilità di godere appieno di un’opera di Giotto, del Requiem di Mozart o della Commedia di dante Alighieri; significa privarsi, si sia o meno credenti, della consapevolezza delle proprie radici. Negarlo non vuol dire essere laici o illuministi. Negarlo vuol dire essere stupidi, ottusi e oscurantisti.

Max Bruschi