Ho ricevuto da Alessia un “post” sul mio account di Facebook. Alessia non la conosco. Non so cosa voti, come si svolga la sua vita, quali siano le sue preferenze. Non importa. Il nostro “credo” scolastico è identico.

Alessia scrive: “…sogno una scuola nella quale per entrare non esistono graduatorie ridicole stile punti del supermercato o concorsi fatti nel giurassico… sogno una scuola nella quale il dirigente è un “manager della scuola”, preparato e in grado di gestire un istituto con rigore e concretezza, quindi non uno che abbia vinto il solito concorsetto farsa, che, dopo aver visionato il mio ben nutrito curriculum (perché per fare gli insegnanti non basta avere una laurea in tasca e la carta straccia dell’abilitazione, ma forse occorrono delle qualità in più, occorre saper progettare, saper gestire, sapersi reinventare ogni giorno, occorre essere dei professionisti dell’educare, occorrono esperienze anche lontane dall’insegnamento), mi chiama per un colloquio durante il quale ho modo di far valere la mia preparazione, durante il quale mi chiede ovviamente quali contributi potrò apportare a quell’istituzione scolastica, quali sono i miei progetti e le mie ambizioni e poi visto che sono proprio adatta mi mette alla prova…”. E via, di questo tono.



Il nocciolo del sogno di Alessia è identico al nocciolo del dibattito aperto su ilsussidiario.net a proposito del reclutamento e al nocciolo del documento della CdO “Una scuola che parla al futuro”. Alessia sogna una scuola libera e autonoma, una comunità messa di fronte al gusto della sfida educativa.

Ne sono convinto: non esiste autonomia senza una rigorosa selezione dei dirigenti scolastici e senza la possibilità per le scuole di scegliere liberamente il proprio personale. Mi sembra che tutti siamo d’accordo sulla necessità di abbattere l’Idra di Lerna delle graduatorie e sulla necessità di non ripercorrere gli errori dell’ultimo concorso a preside.



Ci sono due appuntamenti, a partire da settembre, che rappresentano la cartina di tornasole della volontà riformatrice del governo, della sua maggioranza e dei parlamentari che anche dal centrosinistra sappiano guardare oltre gli schieramenti per abbracciare “una certa idea di scuola”: le regole del nuovo concorso per i dirigenti scolastici e la necessità che il parlamento affronti in tempi urgenti e alla radice, con la radicalità giustamente invocata da Fabrizio Foschi, il tema del reclutamento degli insegnanti.

Ma togliere il piombo dalle ali dell’autonomia (a dieci anni dal decreto 275) significa rimettere a posto un puzzle complesso, reso ancora più intricato dai rivolgimenti di questi anni e dall’impossibilità (lo dico a Gianni Mereghetti, di cui condivido peraltro l’assunto generale: non si fa una scuola nuova con insegnanti vecchi) di fermare la macchina.



Pensare e costruire il cambiamento significa avere il gusto delle singole tappe da raggiungere e superare, un occhio ai singoli provvedimenti, l’altro al disegno complessivo, perché le norme sono fatte per tradurre in realtà le idee, non viceversa. Revisione dei cicli scolastici, sistema nazionale di valutazione, programmi di studio, formazione iniziale dei docenti, reclutamento dei dirigenti scolastici, reclutamento degli insegnanti e loro carriera, autonomia piena di bilancio, governance e quant’altro sono i tasselli di questo puzzle, le rotaie e le traversine di una ferrovia i cui vagoni e le cui motrici sono costituite e costruite dalle comunità educanti.

A chi invoca un provvedimento piuttosto che un altro, dico che di puzzle incompleti è piena la storia delle mancate riforme italiane e che su un binario sconnesso i treni, prima o poi, deragliano.