L’eventualità dell’arrivo in Italia del virus A/H1 N1, meglio noto come influenza suina, e le previsioni della sua diffusione stanno destando non pochi allarmi. L’ipotesi di ritardare l’apertura delle scuole, recentemente smentita dal governo ma non ancora “cestinata” completamente, è uno degli scenari che maggiormente suscitano preoccupazione nell’immaginario collettivo. Se questa sia una misura giusta o meno, e cosa dobbiamo aspettarci per i prossimi mesi, lo abbiamo chiesto al dottor Fabrizio Pregliasco, medico infettivologo e direttore sanitario della Fondazione Istituto “Sacra Famiglia” di Cesano Boscone, Milano.
Secondo lei sarebbe utile ritardare l’apertura delle scuole?
Chiudere le scuole, durante una pandemia, di per sé è una misura efficace. La scuola, infatti, essendo un luogo in cui persiste un’estrema vicinanza tra i soggetti più suscettibili, rischia di diventare una “bomba biologica”. Ma bisogna considerare questo intervento nel contesto complessivo. I colleghi messicani, per esempio, che avevano affrontato il problema in questi termini, nell’emergenza iniziale, si erano resi conto che i ragazzi si ritrovavano tutti in altri luoghi – nei supermercati – e che i genitori che lavoravano non sapevano come fare per tenerli a casa. L’intervento, quindi, ha un costo sociale e organizzativo che supera di gran lunga il vantaggio, a sua volta ridotto in termini di efficacia.
Come giudica la gestione della comunicazione da parte degli organismi competenti?
La comunicazione svolta dalla Fimp, la Federazione Italiana dei Medici Pediatri, è stata complessivamente efficace. Specie in rapporto al passato, quando per la Sars o l’Aviaria utilizzarono toni eccessivamente allarmistici. Tuttavia credo che stia mancando di continuità. Dovrebbe informare in maniera più costante e sistematica, dal momento che la situazione in crescita e in evoluzione lo richiede. È necessario che i cittadini si sentano “preoccupati” in senso positivo, ossia messi in allarme in base alla conoscenza precisa di quello che potrebbe attenderli, di come prevenire e di come curarsi.
Chi sono gli elementi più a rischio?
È un classico: i bambini. Perché hanno una minore risposta immunitaria, meno esperienza. Una variante di questo virus, inoltre, era già circolata nel ‘77 e un’altra negli anni ‘60. Per cui chi all’epoca era già nato, è in qualche modo più immunizzato rispetto a chi non è mai entrato in contatto con quel tipo di virus.
Quanto dura questo tipo di influenza?
Il decorso è quello classico. Quattro giorni, come l’influenza stagionale comune. Che del resto arriverà anche quest’anno, in una variante australiana. Ma la suina si riconoscerà per l’insorgenza in contemporanea di tre caratteristiche: l’insorgenza brusca della febbre, oltre i 38 gradi; la presenza di più sintomi sistemici, cioè generali, come dolori muscolari e stanchezza; e sintomi respiratori.
E quando arriverà in Italia?
Arriverà assieme a quella stagionale, cioè da novembre in poi. Finora siamo riusciti a trattenerla perché abbiamo fatto un’operazione di contenimento migliore di altri stati. C’è stata un’opera di individuazione e di diagnosi di laboratorio su ogni caso singolo per cui siamo messi meglio. Ma arriverà, di questo ne siamo certi.
Il ragazzo finito in coma dopo aver contratto il virus e ricoverato a Monza, rappresenta un caso isolato? Bisogna temere conseguenze di questo tipo?
La mortalità e le complicanze di questa influenza sono paragonabili in termini statistici a quella normale. La mortalità è dello 0,2%. Ci sarà un’incidenza molto più alta sui casi assoluti perché, temiamo, si dovrà moltiplicare per due o per tre i casi di influenzati. Ma anche la comune influenza può causare quello che è capitato. In genere accade che il virus rimane fermo nelle prime vie aeree, quelle della gola. In qualche caso sfortunato (la probabilità è bassissima per ogni influenza) il virus arriva nel profondo degli alveoli, nel cuore dei polmoni. Questo è un problema perché, soprattutto i giovani, che hanno una grande capacità reattiva, reagiscono in eccesso. L’organismo di quel ragazzo ha cercato di eliminare il virus, il che ha causato la cosiddetta polmonite primaria virale con distress respiratorio. I polmoni si sono riempiti di liquidi infiammatori, e il ragazzo ha smesso di respirare. Ma, per fortuna, sta guarendo.