Torna d’attualità l’autonomia delle istituzioni scolastiche, come opportunità connessa all’applicazione della norma sul maestro unico, voluta dai ministri Tremonti e Gelmini per ridurre le spese e migliorare la qualità dell’insegnamento. Sul raggiungimento del primo obiettivo nessuno ha mai avanzato dubbi, tanto evidente è subito apparso il nesso tra l’abolizione dei moduli e la riduzione del numero dei maestri e delle relative retribuzioni a carico del bilancio dello Stato. Circa il secondo obiettivo, l’incremento della qualità della didattica, i dubbi furono tanti mentre le certezze si basavano su valutazioni non sottoposte a verifica o su ricordi personali di un passato scolastico ingentilito dalla memoria.



Oltre alle ragioni riguardanti il risparmio e a quelle di natura pedagogica, militava a favore del maestro unico anche la supposta preferenza delle famiglie. Ma, alla prova dei fatti, al momento delle iscrizioni, esse mostrarono di non gradirlo, perché poteva comportare significative riduzioni dell’orario scolastico, e i genitori degli alunni, si sa, sono particolarmente sensibili alla questione della durata della permanenza dei figli dentro l’ambiente protetto e stimolante della scuola. Va da sé che questo intreccio tra dimensione formativa e funzione sociale pone problemi bisognevoli di qualche ulteriore approfondimento, ma manca lo spazio in questa sede.



Dei tre capisaldi posti dal ministro a presidio delle sue scelte in materia di rimodulazione della scuola primaria, era saldamente fondato solo quello concernente la riduzione delle spese. Se esso fosse veramente tale da giustificare le pesanti modifiche di ordinamento introdotte in una scuola che per comune giudizio era di buon livello, dipende da quanto grave fosse, e ancora sia, la crisi economica e finanziaria del Paese. Pertanto il giudizio si colloca su altri piani e richiederebbe criteri che non attengono alla migliore organizzazione dell’apprendimento, ma a ponderazioni di più alto e generale profilo, capaci di mettere a confronto le esigenze generali della Nazione col principio costituzionalmente garantito del diritto allo studio. Forse l’estate scorsa si è persa l’occasione di agire con chiarezza e trasparenza, mettendo fin dall’inizio sul tavolo le sole motivazioni sicuramente valide: le difficoltà di bilancio e l’improcrastinabile necessità di ridurre le spese per l’istruzione, per tutto il tempo necessario al superamento della crisi.



Un intervento così motivato avrebbe consentito di salvaguardare alcuni tratti dell’organizzazione modulare, realizzabili a costo zero, ormai stabilmente acquisiti al profilo professionale e alla pratica didattica dei maestri, come è da molto tempo l’apertura della classi, introdotta dalla legge 517/77 e raccomandata dal D.P.R. 275/99 sull’autonomia. E soprattutto si sarebbe evitato di celebrare una sorta di frettoloso processo contro i moduli, in realtà contro la scuola primaria, basato su labili indizi e prove poco convincenti. Il ministro e i suoi consiglieri non si sono resi conto che la condanna dei moduli equivaleva a delegittimare professionalmente un’intera generazione di maestre e di maestri, che avevano faticato non poco per impadronirsi dei nuovi registri didattici e organizzativi che l’assetto modulare richiedeva.

 

Accade adesso che alcuni tratti dell’organizzazione modulare riemergono come concreta possibilità prevista da una legge anteriore alle innovazioni del ministro Gelmini, la legge 15 marzo 1997, n. 59 (Bassanini) da cui ha preso origine il citato Regolamento sull’autonomia. Essa prevede che le scuole possano adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune, tra cui l’articolazione in moduli dell’orario, dei contenuti disciplinari e delle scolaresche. Flessibilità è il contrario di rigidità. Gli alunni possono essere raggruppati secondo criteri di funzionalità didattica diversi da quelli anagrafico-burocratici della classe tradizionale. La figura del maestro unico evapora nella pluralità dei percorsi didattici della modularità. Gli allievi entrano in rapporto col maestro già unico ed ora prevalente e con altri maestri. La stessa prevalenza può sfociare nell’autentica pluralità, ove esigenze di carattere funzionale, autonomamente valutate, lo giustifichino o lo esigano.