La presenza degli alunni stranieri nelle scuole italiane – soprattutto nelle regioni del Nord – è in continuo aumento; aumentano di 70mila unità all’anno, provenendo da 190 Paesi, superando attualmente le 600mila unità. Di questi solo un terzo è nato in Italia, mentre gli altri arrivano dall’estero e quindi poco conoscono la lingua e la cultura italiana. Gli oltre 4 milioni di stranieri residenti in Italia vivono prevalentemente nelle regioni italiane dove gli adulti hanno trovato più facilmente lavoro e si concentrano spesso in territori circoscritti o in alcuni quartieri delle grandi città.
Per questa distribuzione non omogenea degli stranieri, la loro presenza si concentra soprattutto in alcune scuole, arrivando a volte a creare situazioni molto complesse: elevata percentuale (anche oltre il 50 per cento), con conseguente fuga verso altre scuole degli alunni italiani.
Finalmente il ministro Gelmini – già sollecitata a questo negli scorsi anni – è uscita con una circolare (c.m. 2 dell’8 gennaio 2010) che indica alcuni criteri per la formazione delle classi, la distribuzione degli stranieri nelle scuole, le competenze linguistiche.
Nella circolare così vengono sintetizzati i problemi: a) la significativa incidenza di dispersioni, abbandoni e di ritardi che caratterizza l’itinerario scolastico degli alunni provenienti da un contesto migratorio. b) La loro conoscenza della lingua italiana, talora assente o padroneggiata a livelli di competenza notevolmente differenti. c) Il possesso della “nuova” lingua più come spontaneo registro utile alla “comunicazione” quotidiana che non come strumento per lo studio nell’ambito dell’itinerario scolastico. d) La necessità di prevedere, al di là di ogni semplicistica separatezza, anche moduli di apprendimento e percorsi formativi differenziati, soprattutto nelle scuole secondarie di secondo grado. e) La presenza di culture diverse all’interno delle comunità straniere e il loro impatto con la cultura italiana.
Da qui l’indicazione, che ha fatto tanto discutere, di tener presente nella composizione delle classi la soglia del 30 per cento degli alunni stranieri per evitare una forte disomogeneità.
Va sottolineato che il 30 per cento è un criterio regolativo ma non prescrittivo, tanto è vero che nelle dieci pagine della circolare vengono dati anche ulteriori indicazioni sulla formazione delle classi, prevedendo la possibilità per le scuole di superare tale valore o di restarne molto al di sotto a seconda del fatto che gli studenti stranieri siano tali solo perché non hanno la cittadinanza italiana anche se nati in Italia e quindi dotati delle competenze linguistiche necessarie, oppure nella scuola siano avviati progetti di integrazione scolastica attraverso i quali gli studenti stranieri abbiano raggiunto buoni risultati.
In ultima analisi si rimanda all’autonomia delle scuole – in accordo con l’Ufficio Scolastico Regionale – la valutazione del numero degli alunni stranieri da inserire in ogni classe ed anche delle soluzioni da trovare per permettere una reale integrazione sia sul piano linguistico sia culturale, assegnando alle istituzioni locali il compito di stringere con le scuole dei patti territoriali tesi a risolvere il problema attraverso un coordinamento ed un uso delle risorse.
In concreto, questa indicazione può comportare che in una classe di 25 bambini e/o ragazzi siano comunque presenti 8 studenti stranieri, in molti casi non in possesso delle competenze linguistiche in italiano e magari provenienti da tutto il mondo.
Perché allora da parte di molti si grida allo scandalo? Già nel 1999 il governo D’Alema (che comprendeva i ministri Berlinguer, Bindi, Turco, Bersani), prevedeva – in un regolamento tuttora vigente (dpr 394/1999, art. 45) – un tetto massimo del 50 per cento per evitare «comunque la costituzione di classi in cui risulti predominante la presenza di alunni stranieri».
Sembra che ogni volta che nella scuola si tenta di introdurre alcuni cambiamenti in nome della necessità di diversificare l’offerta formativa per rendere possibile una reale uguaglianza nei risultati finali ci sia un rigurgito di ideologia egualitarista per la quale la scuola deve essere un contenitore il più possibile uniforme in cui ciascuno studente deve entrare senza che si tenga conto di chi è, di quali competenze abbia.
Altra semmai è la critica che potremmo fare alla circolare del ministro, ovvero che ancora una volta viene affidato all’autonomia delle scuole un compito non facile senza preoccuparsi che i docenti abbiano una formazione idonea (in una ridistribuzione degli alunni stranieri in altre scuole del territorio ciò diventa ancor più urgente) o che le scuole possano assumere personale docente con competenze idonee ad affrontare le richieste formative specifiche poste dagli alunni stranieri.