Il dibattito che in questi giorni si è scatenato sul tema dell’apprendistato a 15 anni mostra come un approccio ideologico genera solo sterili contrapposizioni. Una posizione è quella della cultura dominante che negli ultimi 40 anni ha demonizzato l’impresa e, in parte, la formazione professionale. Il paradigma prevalente considerava la scuola (unica, statale e liceizzata) ambito educativo e di crescita della persona, mentre la professione e il lavoro erano una mera risposta alle esigenze delle imprese; quindi esse portavano a una disumanizzazione dell’individuo in cui non si esplicava alcun percorso educativo e per questo motivo era meglio che si accedesse al lavoro il più tardi possibile.



A questa posizione, anche per reazione, oggi rischia di contrapporsene una nuova che considera i percorsi educativi una perdita di tempo e l’impresa l’unico ambito di crescita reale della persona.

Entrambi gli approcci mostrano di non saper guardare alla realtà; vi sono infatti oggi esperienze di alternanza scuola lavoro (normalmente nate in modo sussidiario) di grande successo, che recuperano molti adolescenti portandoli fuori dalla dispersione scolastica e accompagnandoli all’inserimento lavorativo; in tutte queste esperienze si è stabilita un’alleanza forte tra sistemi educativi e imprese. Il caso numericamente più eclatante è quello dei percorsi triennali di qualifica della formazione professionale attivati con successo in alcune regioni (in particolare Piemonte, Veneto, Lombardia) in cui si è passati in 5 anni da 30mila a 150mila utenti portando un notevole contributo alla lotta contro la dispersione.



Certo ne restano ancora altrettanti che sono fuori da ogni percorso educativo o lavorativo, ma questo è dovuto al fatto che molte regioni non hanno attivato questa possibilità e che il governo ha abbassato le già scarse risorse disponibili, infatti la prima cosa da fare è ripristinare i 40 milioni di euro storicamente erogati dal ministero dell’Istruzione ai percorsi triennali della formazione professionale, ma tagliati per l’anno 2009 e non previsti nella finanziaria 2010. Oltre a questi percorsi strutturati vi sono poi molte realtà, a cavallo tra l’accoglienza e la formazione, che dimostrano una straordinaria capacità di recuperare le persone più in difficoltà; percorsi personalizzati di accoglienza, orientamento e formazione divengono in queste esperienze fattore decisivo dell’accompagnamento dei giovani adolescenti al lavoro.



I nostri giovani, accanto al problema di introdursi al mondo del lavoro, oggi hanno la necessità di accedervi con un bagaglio di conoscenze e competenze adeguato; in tal senso una buona formazione di base è la vera garanzia di una formazione per tutto l’arco della vita. In fondo già Adam Smith ne La Ricchezza delle Nazioni affermava che se il leggere lo scrivere e il far di conto erano necessari per produrre bene semplici spilli, si doveva rinvigorire non poco per corrispondere alle modalità produttive tipiche delle nuova società industriale. Figuriamoci oggi.

 

Quindi, da un lato, se la vita non ha lavoro uno conosce meno se stesso, smarrisce il senso del vivere, tende a smarrire il senso del perché vive, dall’altro occorre che la persona sia dotata di un bagaglio che gli permetta di poter stare stabilmente nel mondo del lavoro assecondandone le inevitabili e rapide mutazioni.

In tale contesto va affrontato il tema dell’emendamento Cazzola all’art. 48 del dlgs 10/09/ 2003, che prevede che l’obbligo di istruzione, di cui all’art. 1, comma 622, della legge 296 del 27/12/2006, e successive modificazioni, si assolve anche nei percorsi di apprendistato per l’espletamento del diritto dovere di istruzione e formazione.

Anzitutto va analizzata la grande diversità presente nel paese. Al Sud infatti vi sono tassi di dispersione più alti, l’istituto dell’apprendistato è utilizzato molto poco ed è scarsamente presente il sistema della formazione iniziale. Al Nord, pur essendovi un ancora ridotto utilizzo dell’istituto e della formazione professionale per gli apprendisti, è iniziato come descritto un cammino di sperimentazioni interessanti.

In secondo luogo è del tutto evidente che soprattutto per le imprese più piccole vi è una grande difficoltà nel sostenere in modo totalmente autonomo percorsi di crescita delle conoscenze e delle competenze, tant’è che l’apprendistato è largamente utilizzato per i vantaggi (certamente giusti) connessi ai minori oneri per l’impresa.

 

 

La nostra proposta, soprattutto per l’apprendistato in diritto dovere rivolto agli adolescenti è dunque quella di una grande alleanza tra l’impresa e i sistemi educativi; alleanza che richiede da parte del governo di favorire una maggior strutturazione dei sistemi formativi, premiando le eccellenze in essi presenti. Al contempo occorre sostenere le imprese in questa responsabilità anche attraverso forme innovative di sgravi fiscali e di destrutturazione dei salari per gli apprendisti in obbligo di istruzione.

L’alleanza che auspichiamo nasce dalla certezza che l’educazione è innanzitutto l’esito di una passione per l’altro che parte dalla comunicazione di ciò che si ama; una passione in questo caso a introdurre l’adolescente alla realtà totale, valorizzando e sollecitando la sua libertà affinché diventi consapevole delle proprie capacità e dell’ampiezza dei desideri che il suo cuore esprime. L’educazione cosi concepita è fattore dello sviluppo della persona, ma anche del sistema economico e chiama quindi in causa la responsabilità di tutti gli attori, invitandoci a superare quelle rigidità ideologiche che sono alla base di molti dei problemi del nostro paese e che bloccano lo stesso sviluppo.

Ben venga dunque qualsiasi analisi e ogni tentativo innovativo, ma l’analisi non può prescindere dall’esperienza e da una attenta valutazione dei fatti. Se non saremmo capaci di questo l’esito inevitabile sarà la marginalizzazione di un pezzo importante delle nuove generazioni.