Nella società di oggi, caratterizzata, come diceva Weber, dal “politeismo dei valori”, non c’è più una definizione unitaria su cui tutti concordino.
Nel passato la società aderiva anche in campo educativo ad una definizione unitaria e condivisa di educazione che veniva “consegnata” alle generazioni successive senza grandi scosse e problemi.
Ma la comunicazione di ciò che è vero, giusto, stimabile per me, non può essere fatta attraverso un discorso. Ciò che è veramente persuasivo è l’esempio. Per questo, l’educazione si realizza principalmente attraverso il paragone personale.
L’educazione implica la reciprocità, quella condizione per cui chi educa e chi è educato stanno all’interno di una relazione che li comprende entrambi.
Se riflettiamo un po’, è facile riconoscere che abbiamo appreso i valori che contano nella nostra vita vedendoli incarnati, esemplificati in persone che abbiamo amato e ammirato: i nostri genitori, i nostri insegnanti, i nostri amici. Poi, crescendo, abbiamo imparato a sottoporre questi valori ad un giudizio, li abbiamo provati, verificati nelle tante situazioni concrete della nostra vita e rielaborati criticamente.
Quindi, quando si parla di “libertà di educazione”, si corre il rischio di riferirla solamente all’esperienza della scuola paritaria e, ancora più riduttivamente, al contributo finanziario dello Stato, ormai ridotto a ben poca cosa.
Il problema della libertà riguarda invece tutta la scuola, e in special modo la Scuola statale, perché in tutti questi anni, si sono ridotti sempre più gli spazi di pluralismo culturale, sostituito da una nuova “ideologia-melassa” che dà una lettura della modernità basata sui luoghi comuni, sulla omissione delle verità storiche, in nome di un conformismo che censura completamente l’esperienza cristiana.
Senza nessuna resistenza infatti, da anni assistiamo alla ingerenza degli uffici scuola dei comuni o di istituzioni create allo scopo, nella vita della scuola statale.
Dapprima per offrire servizi, poi per “dettare la linea”. Da questi progetti, dalle biblioteche, dalle iniziative, è scomparsa completamente la cultura cristiana. Basta guardare le eleganti brossure che presentano le iniziative per il Natale e la Pasqua: non c’è alcun cenno al significato e alla consistenza di queste ricorrenze: Gesù Cristo non c’entra.
Senza pluralismo e senza onestà culturale non c’è Scuola!
E cioè il riconoscimento del valore delle radici della nostra storia e della nostra cultura di cui il Cristianesimo è parte integrante ed essenziale. La tradizione è come una lingua: se non viene parlata diventa una lingua morta, che non comunica più niente. Il valore che essa ci consegna, vive solo se è attualizzato, cioè reso reale e incontrabile in figure umane concrete.
Vedo intorno a me una sorta di rassegnazione (come si fa a dire no al Comune?) e una carenza di testimonianza.
Si vuole ancora una volta rinchiudere l’esperienza cristiana nel “recinto”: occupatevi della carità, delle opere di misericordia verso tutte le povertà. Al resto pensiamo noi.
A cominciare dai libri di testo, a disegnare la Chiesa in modo caricaturale, ad esaltare la sconfitta dell’oscurantismo con l’avvento dei Lumi.
Perché è questo che generalmente accade nella Scuola, anche se esistono ovviamente docenti e dirigenti che non si sono rassegnati ad una scuola conformista e mediocre.
La libertà di educazione, come tutte le libertà del resto, non è una battaglia solo per i cattolici: serve a tutti.
(Maurizio Rizzolo Presidente Scuole Paritarie San Tomaso, Correggio, RE)