Nel corpo del regolamento approvato dal Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione lo scorso 6 ottobre, è stato inserito un poco a sorpresa l’articolo 4 che introduce l’anagrafe dei docenti. Brevi e incisive parole che vale la pena riportare:
“1. È costituita l’anagrafe nazionale telematica dei docenti, pubblicata sul sito del Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca. 2. Detta anagrafe comprende, oltre ai dati anagrafici, i titoli di studio, le abilitazioni, le sedi di servizio, le pubblicazioni, il servizio prestato, le specializzazioni, le certificazioni possedute, con particolare riferimento alle lingue straniere e alle competenze informatiche. 3. A detta anagrafe è iscritto il personale docente di ruolo e i docenti non di ruolo abilitati e idonei per le specifiche classi di concorso e posti di insegnamento”.
È ancora presto per capire se e come tale misura sarà attuata, ma fin da ora si può dire che una ipotetica di carta d’identità personale e pubblica del docente, consultabile su internet, nella quale siano indicate oltre alle condizioni anagrafiche anche le caratteristiche professionali del singolo, rappresenta un salto qualitativo non da poco nella concezione della posizione dell’insegnante nella comunità, e in questo senso è tutt’altro che un’idea malvagia.
L’insegnante che si presenta con la fotografia delle proprie competenze diventerebbe da entità anonima, quale spesso le circostanze lo inducono ad essere, un soggetto identificabile sulla base di un profilo aperto che, per quanto esteriore, sarebbe comunque sufficiente a provocare tutta una serie di implicazioni che si imperniano sulla sua persona.
Intendiamo sostenere che la proposta è da accogliere positivamente, a maggior ragione se collegata ad un processo di liberalizzazione delle forme del rapporto che normalmente intercorrono tra chi insegna e le parti alle quali si rivolge la sua azione comunicativa: gli alunni, le famiglie, l’ambiente della scuola. In altri termini, l’anagrafe potrebbe essere un tassello importante di un quadro che ha come tre punti di focalizzazione: la realizzazione di una progressione della carriera del singolo insegnante riconosciuta a norma di legge ed anche economicamente; un sistema di reclutamento pensato in modo da favorire un reale incrocio tra il profilo del docente e le esigenze formative della scuola o della rete di scuole di un certo territorio; l’opportunità concessa ai genitori di scegliere l’iter scolastico per i figli anche in virtù di una migliore conoscenza dei docenti che sono impegnati in determinati percorsi formativi (quest’ultimo obiettivo è prefigurato da Uil Scuola, quando caldeggia l’eventualità di “mettere a disposizione dei genitori il curriculum dei docenti di ogni scuola e facilitare, in tal modo, la non sempre facile scelta dell’iscrizione ai nuovi corsi dei figli”).
Continua
Solo se ha una funzione premiante e uno scopo chiaramente riconducibile alla valorizzazione della figura del docente, l’anagrafe può superare quel mare di diffidenza che oggi separa il corpo docente dall’amministrazione centrale, per tutta una serie di motivi (i tagli del numero delle cattedre, il blocco degli scatti di anzianità prima minacciato e poi rientrato, il fenomeno storico del precariato non ancora risolto) ascrivibili in ultima istanza all’appiattimento delle mansioni del docente su quelle di una qualunque funzione impiegatizia con incombenze di carattere sociale prima ancora che educativo e culturale. Se non apre a questi scenari e si chiude viceversa nelle strozzature di una fredda contabilità indagatrice, qualunque screening lascia il tempo che trova, se non addirittura irrita.
Più che essere l’espressione di una crisi di fiducia tra ruoli (quello di chi controlla verso chi è controllato) per arenarsi fatalmente in una nuova dialettica combattuta sul filo della trattativa sindacale, l’informatizzazione dei dati del docente dovrebbe avviare un itinerario virtuoso che mostra all’insegnante la necessità di rapportarsi sia al patrimonio di esperienze e conoscenze che ha accumulato, sia agli obiettivi degli ordinamenti scolastici nei quali esercita il proprio lavoro.
In questo senso, se dal punto di vista del quadro normativo devono essere intrapresi i passi prima indicati, sul versante più propriamente formativo il docente dovrebbe essere accompagnato e sostenuto nella compilazione del portfolio personale: l’autovalutazione delle prestazioni, se ne è parlato spesso, è un esercizio che risulta talvolta ovvio, talvolta difficile da compiere. In ogni caso è la premessa della valutazione esterna e quindi della pubblicazione del proprio curricolo che attiene, in fondo, anch’essa al capitolo della rilevanza generale degli impegni che il docente ha deciso di ottemperare scegliendo di fare un certo tipo di lavoro.
La consapevolezza dei vari aspetti nei quali si articola la professione docente (la comunicazione, attraverso le discipline, di una ipotesi di significato che investe anzitutto la persona stessa dell’insegnante e si rivolge agli alunni e alla scuola nella sua totalità), è di fondamentale importanza per superare un certo meccanicismo didattico dietro al quale a volte ci si nasconde e per comprendere che l’insegnamento ha sempre un peso e una incidenza che spesso non è messa in conto.
Perché sia raggiunta in modo proficuo l’insegnante ha bisogno di tenere ben deste le radici vocazionali e culturali della propria scelta professionale. È nel paragone e nel confronto che si è aiutati a valutarsi, dunque in un luogo (comunità, associazione, rete di rapporti) dove le ragioni ultime sono presenti e dove la persona è accolta in tutto lo spessore della sua capacità narrativa e comunicativa. L’anagrafe è dunque utile, se rafforza in via sussidiaria questi riferimenti che sono il tessuto quotidiano dell’esistenza del docente.