Ricordo ancora il primo giorno dell’anno scolastico, 13 settembre 2010. 50 ragazzini di 14 anni nel salone del Centro In-presa. Io – il direttore -, e gli insegnanti ad attendere i ragazzi. Curiosità, timore, attesa, un guazzabuglio di emozioni stampate sui volti. È l’accoglienza. Un benvenuto: che significa “è un bene per noi che ognuno di voi sia qui; ed è un bene per voi quello che troverete”. E, subito, una proposta: cosa rende possibile l’inizio di un’avventura? Un volto nel quale immedesimarsi, una storia capace di trascinare. Quest’anno è stata la testimonianza di Silvio Cattarina, presidente della Cooperativa “L’imprevisto” di Pesaro, che da vent’anni recupera ragazzi tossicodipendenti.
Da un tema, il giorno dopo, di un aspirante aiuto-cuoco di prima B: «Non è difficile spiegare che cosa ho fatto il primo giorno di scuola superiore, è difficile spiegare che cosa ho veramente provato. Come ogni anno in una scuola nuova ho avuto paura delle persone, delle cose e dei posti nuovi. Quando mi sono seduto nell’auditorium della scuola ho avuto un’ansia terribile. Sono rimasto immobile tutto il tempo (…) non riuscivo a comunicare neanche con mia madre in quel momento. Nell’auditorium c’era solo una persona che mi ha sollevato il morale: una persona di nome Silvio che ci ha raccontato due storie della sua vita e ci ha detto cose che mi hanno fatto tornare il sorriso. La mia preferita è questa: “I ragazzi pensano che bisogna essere bravi in tutto, dei “fighi”, se no si è stupidi. Non è vero! Perché l’importante è tenere alla vita, non è conquistare molte capacità”».
C’è dentro tutto il senso e il metodo del cammino, dell’avventura nella scuola: tenere alla vita, alle proprie domande, ai propri desideri, e così scoprire che si ha un posto nel mondo. Metodo che detta quello che si chiama personalizzazione, che non è individualizzazione, la stessa cosa per tutti, ma un percorso per ognuno.
Alcuni esempi da In-presa. Il racconto dell’insegnante di Italiano del triennale di aiuto cuoco: «Entro in classe con desiderio e curiosità salutandoli con simpatia. Domando di chi è assente, perché non è la stessa cosa se manca qualcuno e così lo imparano anche loro. Poi prepariamo il materiale e controllo che tutti abbiano tutto in ordine. A volte i ragazzi rimangono stupiti dal mio interessarmi ed è lì che esplicito la mia attenzione come cura perché ognuno di loro possa lavorare dando il meglio».
«Con i nostri ragazzi è necessario conoscere profondamente l’argomento che proponiamo, è necessario aver chiaro il senso, il nesso di detto argomento con l’intero percorso; aver presente ogni piccolo passo del processo di apprendimento per poter presentarne uno alla volta e riconoscerne il livello di difficoltà; cercare la chiave di volta di comprensione: quel particolare colto nel loro vissuto che permetta loro di comprendere e possedere quella conoscenza, come ad esempio Marco che riconosce nel raviolo un “contenitore” di cibo, nozione conquistata e mai più dimenticata e poi riconosciuta in situazioni analoghe».
«Di ogni argomento alla fine ci chiediamo: “Ma cosa c’entra con me?” Ed è sorprendente come i nostri ragazzi arrivino bloccati su questo punto, perché nessuno glielo ha mai chiesto, e spesso dicano: “È una scemenza ciò che penso o ciò che provo”. Tu sei certo e insisti: “No, non è una scemenza, forza” e solo dopo pochi mesi sono “orgogliosi” di quello che scoprono di saper esprimere. Solo quando si raggiunge questo livello la conoscenza non viene più persa e se non è ricordata basta farne un accenno perché torni subito».
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«Con gli altri docenti abbiamo scelto di usare il quaderno come strumento di attenta cura ad ogni alunno, una sorta di diario di bordo. Un quaderno “di percorso” che testimoni il lavoro in classe, i passi fatti e un quaderno “di laboratorio” dove riprendiamo le lacune, le mancanze, le difficoltà emerse durante il percorso. Nella prima pagina abbiamo scritto: “L’errore è un’occasione per migliorare”».
Diritto è una materia fondamentale: siamo in una società che sottolinea sempre di più l’attenzione alle regole. Ma che cos’è una regola? da dove nasce una legge? e, soprattutto, cosa c’entra con me? La mossa dell’insegnante è stata: partiamo da loro. Così ha consegnato un compito a domande aperte in cui chiedeva di definire cosa fosse per loro una regola. Risposte completamente diverse: “modelli di comportamento da seguire” (Riccardo), “ostacoli” (Eloisa), “ordini di uno stato” (Filippo). Queste risposte sono entrate, subito, nell’impostazione della lezione perché ad Eloisa bisognava dimostrare la convenienza derivante dal rispetto di una regola, a Riccardo che il problema dell’approccio ad una regola non era morale o moralistico, ma di conoscenza; a Filippo era necessario comunicare che una regola esiste prima che uno stato la ponga.
Una lezione che non ha avuto paura di usare anche materiali “non ortodossi”: una ciotola con del brodo e una forchetta e un cucchiaio; una sigaretta che si può accendere dalla parte “giusta” o dalla parte col filtro; una bottiglietta d’acqua che si può aprire svitando il tappo o sventrandola con un coltello (così da disperdere tutto il suo contenuto). La regola ci pone di fronte al “principio di convenienza”, principio di cui tutti fanno esperienza. E in questo i ragazzi si rendono conto che a noi è data la possibilità, di fronte a una azione, a un gesto da compiere, di scegliere tra un principio d’ordine (Bere il brodo col cucchiaio, accendersi la sigaretta dalla parte giusta, aprire la bottiglietta senza disperderne il contenuto) – di cui è segno la regola – o di disordine.
La lezione sulla regola ha aperto la finestra della conoscenza sul mistero della libertà. E la lezione, pur vertendo su un contenuto comune proposto a tutti, ha fatti i conti con queste diversità, sottolineando per ognuno quell’aspetto specifico che si era mostrato lontano dalla loro comprensione. Quando si è trattato di affrontare il tema dei mutui, degli interessi e del tasso di interesse ai ragazzi è stato chiesto di svolgere un compito attraverso il quale emergesse per ciascuno quale aspetto non era stato capito o quale difficoltà c’era stata nel cogliere una parte della spiegazione: Alessandro faceva fatica ad esprimere correttamente un concetto compreso, Adriano non aveva colto la struttura del tasso d’interesse.
Anche in questo caso si è trattato di insegnare a tutti tutto l’argomento trattato, perfino nei dettagli, sapendo ciò che era conosciuto e ciò che ancora mancava e su cui era necessario soffermarsi. Personalizzazione è stato valorizzare sia le capacità che le difficoltà – non più avvertite come ciò di cui vergognarsi, bensì una risorsa – facendo sì che ognuno potesse essere sostenuto nella comprensione di quello che appariva lontano.
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Luis è uno dei tanti ragazzi che rientrano nella categoria dei “dispersi”: bocciature, allontanamenti dalla scuola, ecc. Lo incontriamo e gli proponiamo un percorso di alternanza scuola/lavoro per manutentori in ambito elettrico che lo riavvicini al mondo della formazione, un percorso che gli permetta di essere accompagnato ad un primo approccio positivo col mondo del lavoro. L’inizio è un disastro: un mese di scuola, tante assenze, tanti rifiuti, tanti no. Allora la proposta di uno stage, uguale: tante assenze, tanti rifiuti, tanti no. È un fallimento. Però… Durante le ore di Italiano si è letta insieme un’intervista a Thomas Alva Edison dell’inviato del "Corriere della Sera" nel 1927. Per il grande inventore la condizione per diventare grandi era stata imparare a “non arrendersi davanti alle difficoltà e aver tenacemente insistito”.
Espulso dalla scuola perché creduto ritardato, è diventato quello che è considerato il più grande di tutti gli inventori. Come mai? “Se state indagando qualche problema, quando non riuscite a trovare una soluzione interrogate quante più persone potete. È probabile che qualcuno trovi un particolare che vi era sfuggito. Credo che la ragione di molti miei successi consista nel non essermi mai voluto arrendere dinanzi alle difficoltà e nell’aver tenacemente insistito”. La propria domanda come chiave di volta di tutto il percorso di scoperta. E questa è stata la proposta di lavoro con i ragazzi. In Luis sembrava che tutto questo non avesse inciso.
I ragazzi nello stage sono seguiti da un tutor nostro con il compito di accompagnarli in questa esperienza, andandoli a trovare, cercando con loro e i tutor aziendali, di individuare i passi adeguati del cammino. Durante una di queste visite la tutor si è sorpresa nell’osservare Luis mentre andava dietro ad un operaio con lo stesso atteggiamento descritto nell’intervista di Edison. L’accendersi di una speranza: “Luis ha avuto un punto di aggancio con la realtà lavorativa nella persona di Oscar (l’operaio)”. Così Oscar ha proposto di dialogare lui con Luis e di spiegarli, in azione, l’importanza di certe cose che si fanno in cantiere e poi della bellezza di altre imparate sui banchi di scuola, l’importanza delle regole, della puntualità. La svolta. Attraverso quell’incontro la ripartenza di Luis nel suo cammino: non più assenze, non più rifiuti, dei sì. Il nostro compito di insegnanti non è stato inventare alcunché, ma sorprendere l’istante in cui è avvenuto il coinvolgimento di Luis con la realtà, seguirlo e servirlo.
Questa convinzione sulla positività della realtà, sulla positività dei ragazzi che abbiamo davanti, del loro essere sfida e richiamo alla nostra consapevolezza delle ragioni del vivere, del soffrire, dell’amare, del lavorare è il campo di lavoro e di paragone degli adulti di In-presa. Il nostro ritrovarci, come équipe, come Collegio docenti, come Consigli di classe, come Consigli di dipartimento (a cui spesso partecipano gli imprenditori che hanno i nostri ragazzi in stage) parte sempre dal tentativo di rispondere alla provocazione che ci viene da quello che accade. Perché la vita possa crescere occorre che abbia spazi di libertà. La libertà delle istituzioni e nelle istituzioni diviene perciò la conditio sine qua non di un percorso realmente formativo, cioè per la persona (la personalizzazione). In fondo le Università nacquero nel Medioevo come libere aggregazioni di docenti e studenti.