Università fuori dall’agenda politica, dopo lo stop al ddl? Non proprio. «Senza interferire nelle discussioni e nelle decisioni che hanno luogo al governo e in Parlamento – ha detto Napolitano ieri a Pisa in occasione dei 200 anni della Normale – sento il dovere di riaffermare il rilievo prioritario che va attribuito alla ricerca e all’alta formazione e dunque all’università». Soltanto che se vuole i soldi, sembra dire Napolitano, l’università deve meritarseli: per avere i soldi promessi da Tremonti, deve aprirsi a «misure di rigorosa razionalizzazione e qualificazione nell’impiego delle risorse». Napolitano ha ragione – dice al sussidiario Giulio Ballio, rettore del Politecnico di Milano – perché le università italiane non hanno sempre fatto questo. Non solo per colpa loro, naturalmente: sono del tutto mancati i controlli. E senza controlli l’autonomia è virtuale».



Professore, si troveranno i soldi per approvare la riforma Gelmini, o questa è condannata alla “rottamazione”?

Separiamo per chiarezza la questione della riforma da quella dei fondi. Da un lato siamo di fronte ad una riduzione di circa il 15 percento del finanziamento statale all’università. Questo comporta la crisi di tutto il sistema, nel senso che se questa politica finanziaria viene mantenuta ci saranno atenei che dovranno portare i libri in tribunale, e altri che dovranno ridurre pesantemente le loro attività in termini di servizi agli studenti. Per esser chiari, mi riferisco a servizi primari per l’esercizio della didattica, come il riscaldamento e il condizionamento delle aule.



Questo per quanto riguarda i tagli. In più la Ragioneria generale dello Stato è stata molto severa: i soldi per l’emendamento sui ricercatori non ci sono.

Ci arriviamo. Dicevo, la situazione è critica anche perché non si possono aumentare oltre un certo limite le tasse studentesche. In Italia c’è un profondo convincimento, ed è quello che la formazione terziaria non può non essere sostenuta dallo Stato. Non siamo certo i soli in Europa a pensarla così. In ogni caso, il finanziamento al sistema universitario rispetto al Pil è estremamente basso nel nostro paese. Questo per dire che abbiamo già raggiunto una soglia incomprimibile e se si continua così il sistema collassa.



E sul versante della riforma, professore?

Continua

La riforma universitaria così com’è stata impostata, nonostante i vari emendamenti del Senato, sotto molti aspetti toglie autonomia agli atenei. Contempla tutta una serie di regole – dalla composizione del Cda a quella del senato accademico e alla durata dei mandati, solo per dirne alcune – che hanno molto dell’imposizione punitiva rispetto al passato e che comportano un duplice rischio: di non migliorare il comportamento degli atenei che non hanno sfruttato bene l’autonomia, e di penalizzare quegli atenei che, attraverso l’autonomia, hanno avuto la possibilità di fare progressi.

 

La sua valutazione d’insieme dunque è negativa?

 

Solo vorrei distinguere. Nel ddl ci sono anche cose molto buone: la possibilità di dare retribuzioni aggiuntive ai docenti in funzione del loro lavoro, per esempio. Al tempo stesso però non sono esplicitati i loro doveri: fino a quando non saranno nero su bianco i doveri dei docenti – e le sanzioni per i docenti che non svolgono questi doveri – non ne verremo fuori.

 

Di che doveri parla?

 

L’unico dovere di un docente è stare in ateneo e fare didattica e ricerca. E di essere valutato in funzione del suo prodotto. Secondo me su questo il ddl Gelmini mostra la sua lacuna più grave.

 

Lei prima parlava degli effetti negativi dei tagli sulla didattica.

 

In base al decreto finanziario precedente, quello di giugno, noi dovremmo spendere, nel 2011, la metà delle spese di missione del 2009. Come faccio ad andare in Europa a prendere un progetto europeo? Come faccio a fare una ricerca internazionale? Poi le regole del turnover imposte dalla finanziaria dell’anno scorso porteranno ad una riduzione degli organici. Se da un lato questo porterà a fare delle economie, dall’altro produrrà un aumento del rapporto studenti-docente. Col risultato di un sicuro decadimento qualitativo.

 

Una sua opinione sullo stop all’emendamento contenente l’assunzione dei ricercatori che hanno superato l’abilitazione ad associato?

 

Continua

 

 

 

Il fatto che l’abbiano bloccato per ragioni di cassa non fa prevedere nulla di buono. Per quanto riguarda i ricercatori, so che si è parlato di sanatoria. Dipende: per molti atenei potrebbe essere una sanatoria, per molti altri no, perché la legge prevede la chiamata delle persone in funzione del merito e in questo ridà alle università la responsabilità di chiamare un docente bravo o uno scarso.

 

Lei che scenario intravede nel futuro prossimo per la nostra università?

 

I tagli in ogni caso predispongono il quadro che le ho fatto all’inizio: un certo numero di atenei non riusciranno a sopravvivere mentre altri dovranno ridurre pesantemente tutti i servizi, e con essi la qualità. Se viceversa non si trovano i soldi per il reclutamento, col fatto che moltissimi ordinari e associati vanno in pensione e i ricercatori restano ricercatori, il risultato sarà che viene a mancare una classe docente libera dal dover fare ulteriori concorsi e disponibile a dedicarsi pienamente alla didattica e alla ricerca.

 

«Per rivendicare mezzi finanziari adeguati a partire dai prossimi mesi» – ha detto Napolitano a Pisa per i 200 anni della Normale -, bisogna «aprirsi a misure di rigorosa razionalizzazione». Secondo lei le università italiane hanno razionalizzato le loro spese come avrebbero dovuto?

 

Napolitano ha ragione. No, non l’hanno fatto. Secondo me ci sono ampi margini d’azione, soprattutto per quanto riguarda l’assunzione mirata di personale. Da questo punto di vista molti atenei hanno imbarcato troppe persone, guadagnandosi un futuro quanto mai incerto. Ma il punto è che per razionalizzare ci vuole controllo: la responsabilità di quello che è successo in molte università non è soltanto degli atenei, ma anche della totale mancanza di controllo da parte del centro. Qui si parla di atenei che sono in rosso: che cosa stavano a fare, mi chiedo, i revisori dei conti, che sono ministeriali? Senza controllo, non esiste alcuna credibile autonomia di gestione.

 

(Federico Ferraù)