La bocciatura da parte della Ragioneria dello Stato dell’emendamento che mira a consentire l’assunzione per concorso di 9 mila professori associati nelle università Italiane, scelti fra i ricercatori – che sono oltre 20 mila – con procedure da espletare nei prossimi sei anni, al di là della questione tecnica della mancanza di copertura, non del tutto fondata, ha un connotato ideologico che emerge dalle sue motivazioni, e che non è accettabile: ossia quello che fare un concorso ad associato solo per gli attuali ricercatori a tempo indeterminato, implica un privilegio giuridico che potrebbe dare luogo a richieste emulative in altri settori.
In realtà i ricercatori generalmente svolgono attività didattica, mentre ciò in linea teorica non rientra fra i loro compiti ordinari, come indica la loro qualifica. Ovviamente, il concorso oltre che per meriti didattici è anche per meriti scientifici. Riservando ad essi questi concorsi, si vuole considerare, come titolo dirimente, la loro attività didattica, svolta in modo sistematico e quindi premiare chi la effettua, in modo da incentivare l’assunzione di tali compiti da parte dei ricercatori.
Secondo un ragionamento ampiamente diffuso nella sinistra intellettuale, i titoli didattici dovrebbero avere un ruolo secondario, minimo, mentre dovrebbero essere determinanti i titoli scientifici di ricerca desunti da pubblicazioni in riviste dotate di impact factor. I libri didattici, le rassegne bibliografiche, i saggi o articoli in riviste non importanti per l’impact factor, perché a circolazione ristretta, non sono rilevanti. E poiché molti degli attuali ricercatori, quando hanno svolto attività di ricerca, si sono dedicati a ciò, sarebbero inadatti alla carriera ulteriore, vanno lasciati su un binario morto, in attesa che i nuovi ricercatori, a tempo parziale, costruiti con i nuovi criteri oggettivi (che per altro sono ancora sub judice, non essendo facile conciliarli con le valutazioni soggettive di una commissione) facciano loro i concorsi per professore associato. La persona umana, in questa concezione, non ha senso.
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In altri termini, gli avversari del ministro Gelmini, a cui la Ragioneria dello Stato ha dato una mano – forse involontaria, forse inficiata da un pregiudizio culturale – dicono al ministro: “lei vuole una riforma universitaria all’insegna dell’efficienza? La faccia sino in fondo, con una macelleria sociale, che metta a nudo finalmente la sua logica”. È un’impostazione errata, perché al centro di questa riforma vi è la persona umana: nelle due dimensioni, di chi impara e di chi insegna. Una missione, che si nutre di ricerca culturale. Purtroppo la sinistra liberaleggiante italiana non riesce a capire tutto ciò, perché considera non le persone, ma i prodotti. Non i soggetti, ma gli oggetti. Non gli impegni, ma i successi. Manzoni, a cui interessavano dieci lettori, per questa impostazione è uno sciocco. Contano il numero di citazioni, il numero di persone che hanno scorso le pagine di quel testo, conta il numero di persone che finita l’università ha passato un test di intelligenza.
Soprattutto però non piace, della riforma Gelmini, ai suoi oppositori, la gestione amministrativa responsabile, l’efficienza e i nuovi criteri di elezione dei Rettori, che depoliticizzano le università e che sono il nucleo centrale del nuovo sistema. Mediante la bocciatura di questo emendamento sui ricercatori e di quelli dell’onorevole Lupi rivolti a favorire l’afflusso di trasferimenti privati alle università, si vuole togliere alla riforma Gelmini la sua natura di riforma nella continuità e nel rispetto delle persone dedite alla didattica, per darle un volto inumano: e fomentare la protesta sindacale contro di essa.
Invece è essenziale che questi emendamenti siano approvati e non ridimensionati, e che se ne trovi la copertura, cosa perfettamente possibile, come spiegherò fra poco. Il presidente della Repubblica Napolitano ha affermato a Pisa, in un discorso alla Scuola Normale, che le Università debbono avere la priorità. Sarebbe grave che questo messaggio non fosse accolto e che si bocciassero questi emendamenti, che si muovono in tale spirito. L’emendamento – bocciato – sui concorsi per professore associato riservati ai ricercatori prevede una spesa molto limitata nei primi sei anni, ossia 90 milioni di euro nel 2011, 263 nel 2012, 400 nel 2013, 253 nel 2014, 333 nel 2015, 413 nel 2016. La spesa diventa di 480 milioni a regime, in quanto i ricercatori promossi a professore associato avranno una retribuzione maggiore che se fossero rimasti ricercatori. A fronte di questa maggiore spesa, ci possono essere risparmi di spesa derivanti dal fatto che si preferisce ampliare la gamma dei professori associati, attualmente troppo ristretta, rispetto a quella degli ordinari e che, data la nuova dotazione di professori associati dotati di esperienza di insegnamento, per la gestione degli organi didattici (dipartimenti, corsi di laurea, master, dottorati) si può fare maggior affidamento su professori a contratto senza timore di degradare il livello qualitativo degli studi.
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Ma mi rendo conto che a una Ragioneria pubblica, soprattutto se ostile al riformismo ispirato a principi liberali con connotati sociali attenti al rispetto della persona, questo non basta. Ci vuole una copertura formale. Io la rinvengo, direi abbastanza agevolmente, in un fenomeno che è l’opposto della cultura, e precisamente quello del dilagare delle slot machine e delle scommesse elettroniche in rete. La Corte dei Conti ha rinviato a giudizio le concessionarie di slot machine, per presunte violazione dei contratti di concessione, per 88 miliardi di euro. Per Atlantis World, principale concessionaria, si tratta di 31 miliardi e 390 milioni e per Cogetech, seconda per importanza, quasi 10 miliardi. Tralascio le altre società chiamate in giudizio contabile. Tutte sono citate in giudizio sulla base di ispezioni effettuate nel 2005 dal Gat (Gruppo Antifrodi Telematiche) della Guardia di Finanza. Si tratta di cifre enormi, che indicano quanto sia grande e crescente la spesa degli italiani per questo gioco, che per il suo incremento si avvale anche di nuove tecnologie.
Il provento dei recuperi di queste eventuali frodi e di altre andrà al fondo speciale per le missioni dei soldati italiani all’estero. Ma rimane il fatto che la tassa di concessione e l’imposta di consumo su questi giochi sono esigue. Il prelievo erariale unico (PREU), cioè l’imposta di consumo è solo il 12,6 percento. La sua elevazione al 14 percento può dare 460 milioni annui, su 30 miliardi di euro di spesa degli italiani per questi e analoghi giochi, elettronici e telematici, di cui si stanno discutendo le nuove concessioni. La maggiore aliquota, che renderebbe 460 milioni adesso e cifre crescenti in futuro, dovrebbe andare a un Fondo per le università. Ciò darebbe luogo a una copertura permanente degli emendamenti alla legge Gelmini, che sono stati ora bocciati per carenza di copertura della spesa che ad essi si collega. Il gettito del reperimento delle frodi alla nuova aliquota dovrebbe andare, come per le aliquote vigenti, al finanziamento del Fondo per le operazioni militari all’estero.
Queste “coperture” del finanziamento degli emendamenti alla legge Gelmini per l’università hanno un chiaro significato etico. L’intento della riforma non è certo quello di scatenare una guerra fra ricercatori attuali e ricercatori futuri delle università. La didattica va premiata. Le università debbono potersi avvalere non solo di risorse pubbliche, ma anche di trasferimenti privati. Al centro della riforma ci sono le persone. Ma con criteri di efficienza e di responsabilità.