È ottimista Giuseppe Valditara, senatore di Futuro e libertà, sulle sorti del ddl Gelmini di riforma dell’università. «Affossarla sarebbe un errore politico madornale. Non può finire tutto con uno “scusate, abbiamo scherzato”». I soldi, dice Valditara, se si vuole si trovano. I finiani però non voterebbero automaticamente una riforma a costo zero, e avanzano i loro punti: assunzione dei ricercatori abilitati, eliminazione del vincolo del 50 per cento nel recupero dei posti del turnover, ripristino degli scatti stipendiali, ricostituzione del fondo di finanziamento ordinario.



Senatore Valditara, l’ultima presa di posizione di Napolitano, che ha ribadito il ruolo prioritario della ricerca, dà qualche probabilità in più al ddl Gelmini di essere approvato, a fine anno, emendamento ricercatori compreso?

«Lo spero vivamente, perché è una riforma importante. Io stesso mi sono impegnato in prima persona, a più riprese, per migliorarla. Vederla naufragare per una questione di risorse, a causa di tagli che non si vedono in nessun altro paese occidentale nel settore della ricerca e dell’università, lascerebbe francamente l’amaro in bocca».



Quali sono per voi di Futuro e libertà i punti irrinunciabili?

«Il primo: quello di dare una prospettiva ai ricercatori italiani che hanno superato l’abilitazione ad associato. Ne vanno assunti 9mila in sei anni e la cosa è fattibile. Ricordo che attualmente i ricercatori sono circa 24mila, e che per quei 9mila non si tratta, nota bene, di assunzione automatica, ma di poter essere assunti se si hanno le carte in regola per esserlo. Senza dimenticare un particolare importante».

Quale?

«Che il 60 percento dei posti da bandire nel prossimo futuro sono posti da ricercatore, e che quindi i ricercatori sono destinati ad aumentare. Se noi non offriamo loro una possibilità reale di essere assunti, avranno un titolo che non darà loro alcuno spazio concreto nell’università italiana».



Il secondo punto, senatore?

«Riteniamo che debba essere progressivamente eliminato, a partire in particolare dalla scadenza del termine fissato nella legge, quindi a partire dal 2013, il vincolo del 50 percento nel recupero dei posti del turnover. È un tetto che limita fortemente lo sviluppo delle università virtuose e non si capisce perché una limitazione che ha senso per un’università con un eccesso di personale, debba valere anche per quelle che sono sottodimensionate».

E poi cosa chiedete?

«Il ripristino degli scatti stipendiali che premiano il merito. È molto curioso che nella manovra di luglio gli scatti automatici siano stati ridati a tutti, magistrati compresi, mentre gli unici ad avere gli scatti di stipendio tagliati sono stati i docenti universitari e i ricercatori. E poi occorre ricostituire il fondo di finanziamento ordinario».

 

Proprio il fondo – ha fatto notare su questo giornale il presidente della Crui, Decleva – ha subito gravi tagli.

 

«Il fondo di finanziamento ordinario viene diminuito di circa 1,5 miliardi di euro in tre anni, quando la Germania stanzia 2,7 miliardi di euro per cinque anni. Chiediamo che il fondo di finanziamento per il 2011 sia ricostituito. Sono istanze ragionevoli che auspichiamo vengano recepite, perché lo stesso ministro Gelmini ha detto che senza finanziamenti la riforma rischierebbe di partire zoppa».

 

Conta più il rispetto dei vincoli di finanza pubblica o il sostegno allo sviluppo?

 

«Mi limito a osservare che quando si è trattato di reperire 300 milioni per pagare le multe sulle quote latte, e la Lega ha addirittura minacciato la crisi di governo se non fossero stati trovati i soldi, quei soldi sono stati trovati immediatamente. Non si capisce perché si debbano premiare coloro che hanno violato le norme comunitarie, e poi non si possano trovare i soldi per l’università e la ricerca e dunque per la competitività del nostro paese».

 

«Nelle prime 100 università a livello internazionale sono pochissime le università italiane – ha detto l’altro giorno il ministro Gelmini a Maurizio Belpietro – ma sbaglia chi pensa che questo sia solo un problema di risorse: è in primo luogo un problema di regole. La verità è che l’impostazione falsamente egualitaria del ’68 ha portato le nostre università agli ultimi posti nelle classifiche internazionali. Per questo è tempo di cambiare, magari anche chiudendo o accorpando atenei in deficit». Si va verso rimedi così drastici?

 

«Ma quando ci sono atenei in rosso si commissariano, questo c’è nel ddl e c’era già nel mio disegno di legge. Quando si parla di posizioni nelle classifiche internazionali, il grosso rischio è sempre quello di lasciarsi prendere la mano invocando cause remote di ogni tipo. Innanzitutto diciamo che non siamo proprio in fondo alle classifiche: sulle prime 10mila università del mondo le nostre sono tutte nei primi 500 posti. In realtà siamo indietro non a causa del ’68, ma della nostra scarsa internazionalizzazione. Gli atenei in rosso? I revisori ministeriali dov’erano? Se il governo taglia i soldi per le missioni, come fa un ricercatore ad andare in Europa, o peggio negli Usa? Lo fa con i suoi 1.200 euro di stipendio da ricercatore neoassunto?»

 

Tremonti ha in mano i cordoni della borsa e non li allenterà tanto facilmente. È stato Bossi a dirlo. Lei che ne pensa?

 

«Bossi dice la verità. Ma è dall’inizio della legislatura che Fini lo ripete: lo ha fatto prima in modo soft, poi in modo più virulento, alla fine è stato sbattuto fuori. Quando Bossi arriva a dire che se l’Udc entra nella maggioranza lui ritira Tremonti, conferma che la Lega, attraverso il ministro dell’Economia, tiene il pallino».

 

In sintesi lei è ottimista o pessimista sul reperimento finale dei fondi di cui la riforma ha bisogno per essere attuata?

 

«Sono ottimista perché affossarla sarebbe un errore politico madornale, gravemente penalizzante per il paese. Confido che se si prende l’impegno di risanare l’università, non si arrivi a dire “scusate, abbiamo scherzato”».

 

Cosa dice della proposta di Bersani di utilizzare un’una tantum come i soldi derivanti dalla vendita delle frequenze televisive per fare cassa e finanziare la riforma?

 

«Al di là della proposta di Bersani, che lascia il tempo che trova, la realtà è che la copertura si può trovare. Ne cito uno classico, le tasse di scopo; per non parlare delle spese che si possono tagliare, a cominciare da alcuni ministeri. Se diamo la priorità a certe voci di spesa, allora dobbiamo avere il coraggio di dire che la ricerca non è più prioritaria.

 

Cosa fareste voi finiani nella peggiore delle ipotesi, se cioè si facesse una riforma a costo zero, stralciando l’assunzione dei ricercatori?

 

«Voteremmo gli emendamenti che abbiamo presentato, e nell’ipotesi in cui mettessero la fiducia il nostro voto non sarebbe scontato».

 

(Federico Ferraù)