È dal 2007, con la pubblicazione del “famoso” dossier realizzato dall’Agesc, che circolano dati e tabelle sull’enorme risparmio – circa 6 miliardi di euro all’anno – che le scuole paritarie garantiscono allo Stato. Pareva, al tempo, un argomento decisivo, ma evidentemente non lo era, o comunque non è stato sufficiente: ancora troppo forte è il moloch che tiene in scacco la libertà di educazione nel nostro paese.



Una dimostrazione? Anche per il 2011 la finanziaria prevede un taglio nei confronti della scuola non statale assolutamente sconcertante, quasi frutto di una “patologia suicida” prima ancora che di una ideologia: 255 milioni di euro, che corrispondono ad un abbattimento del 47,75% del contributo (già magro e mai aumentato dal 2000) destinato originariamente alle scuole paritarie.



Se dunque la scuola statale non ride, col suo 5% in meno di risorse – che scendono da 44 miliardi e 136 milioni a 42 miliardi e 30 milioni di euro – la scuola paritaria sicuramente ha di che piangere. Il termine “abbattimento” utilizzato per il contributo, infatti, si addice ancor meglio alle scuole paritarie: con un 47,75% in meno sui bilanci non ce la potranno fare a restare in piedi; non si può chiedere loro l’impossibile. La finanziaria 2011, dobbiamo amaramente dirlo, equivale ad una sentenza di morte per la maggior parte di esse. Certo, qualcuna riuscirà probabilmente a restare in piedi, grazie ad un aumento vertiginoso delle rette a carico delle famiglie. Ma quante di queste potranno permetterselo?



E comunque, se i provvedimenti in corso saranno confermati, le poche scuole che riusciranno a resistere si troveranno – come entità dei finanziamenti statali – nella situazione economica precedente alla legge 62/2000. Tornare a prima della parità: sarebbe questo l’obiettivo di un governo che ha fatto della libertà di scelta educativa un cavallo di battaglia della propria campagna elettorale?

Non vogliamo crederci, e pensiamo che ci siano ancora i margini per attuare ciò che è stato promesso e più volte ribadito in merito alla libertà di scelta educativa. Occorre, però, una decisa inversione di tendenza. Non appena un timido, incerto, parziale e tardivo reintegro delle risorse. Non l’ennesima raffica di rassicurazioni e di distinguo che cercano di giustificare e rimediare il danno. Non è di questo che abbiamo bisogno. Quello che serve è già chiaro e ben presentato a più riprese: il mantenimento – anzi l’incremento – del finanziamento a favore delle scuole paritarie, accompagnato da decisi provvedimenti di fiscalità generale e particolare a favore delle famiglie.

Non si può più aspettare. Le condizioni per realizzare un sistema improntato ad una effettiva libertà di scelta educativa ci sono tutte, occorre solo il coraggio di dare seguito a ciò che i dati mostrano con evidenza come un bene dei cui frutti, già in questo tempo di crisi, potrebbero godere tutti.

Dati che, tra l’altro, si sono arricchiti di nuovi elementi, come spiega l’articolo di Roberto Pasolini uscito il 26 ottobre su ilsussidiario.net, scritto per raccontare gli esiti della ricerca Le scelte delle famiglie per il sistema paritario. Un punto di vista economico, che ha confermato una volta di più che i tempi sarebbero maturi per “una vera libertà di scelta tra scuola paritaria e pubblica”.

 

La domanda del titolo “E se ora Berlusconi mettesse la parità nella sua riforma fiscale?” appare legittima, anzi addirittura logica se pensiamo alle dichiarazioni che lo stesso presidente del Consiglio ha fatto presentando i 5 punti programmatici in vista della fiducia chiesta alla Camera, nonché dalle affermazioni del ministro Gelmini favorevoli a “predisporre uno specifico strumento legislativo che, mettendo al centro la famiglia, ne sostenga lo sforzo educativo attraverso un’adeguata fiscalità che possa consentire una reale libertà di scelta tra la scuola pubblica e privata”.

 

Del resto, se la matematica non è un’opinione, appare assolutamente insensato – e a maggior ragione in questi tempi di “vacche magre” – trascurare una possibilità di risparmio per lo Stato così consistente. La citata ricerca, presentata il 13 ottobre a Roma, lo conferma tra l’altro con ricchezza di dati non appena teorici, bensì desunti da ricerche sul campo. Certo, come ha scritto un lettore commentando l’articolo di Tommaso Agasisti del 25 ottobre (La parità? Dati alla mano, lo Stato avrebbe tutto da guadagnare) “la parità non può passare nel cavallo di Troia della economicità, è una questione di giustizia e libertà prima che di economia”; dopo anni di battaglie ci siamo convinti, tuttavia, che i valori “universali” della giustizia e della libertà, quando si tratta di declinarli nell’ambito dell’educazione/istruzione, per alcuni politici e cittadini non valgono più, o quantomeno restano del tutto astratti. “Quello che non passa per la testa e il cuore forse passa per lo stomaco”, ci siamo detti: se non si vuole realizzare la parità per il guadagno civile, sociale e umano, che è sicuramente la cosa più importante ma evidentemente non è abbastanza convincente, forse si farà per il mero guadagno economico, soprattutto ora che la crisi finanziaria preoccupa e spinge a cercare soluzioni.

Così, dopo il dossier realizzato dall’Agesc, le associazioni di scuole paritarie hanno realizzato una nuova ricerca, con ulteriori dati che dovrebbero tranquillizzare anche i più riottosi:

Ben il 75% degli intervistati ha affermato che anche se la frequenza alla scuola paritaria fosse gratuita, continuerebbe a far frequentare ai propri figli una scuola statale. La preoccupazione per una “grande fuga”, dunque, non ha fondamento;

Tutte le simulazioni economiche presenti nella ricerca hanno evidenziato che, pur sostenendo finanziariamente la scelta della scuola paritaria, il saldo tra investimento e ritorno finanziario sarebbe sempre positivo. Dunque, non è affatto vero (ma sono anni che lo diciamo!) che “per finanziare la scuola paritaria bisogna sottrarre risorse alla scuola statale”. Anzi, si libererebbero consistenti risorse che andrebbero a vantaggio di tutti;

Una quota non irrilevante di famiglie (8,4%) sceglie la scuola statale costretta da vincoli economici: la battaglia per la parità – dal punto di vista della giustizia sociale – è quindi una battaglia innanzitutto a favore delle famiglie meno abbienti, e dunque non esistono davvero le obiezioni di chi non la vuole perché  “si favorirebbero le scuole dei ricchi”.

 

Basteranno questi dati? Devono bastare, perché oltre l’evidenza non si può andare. Chi ha il compito e la grave responsabilità di prendere decisioni politiche, ha ora in mano uno strumento in più, che ha la forza del rigore scientifico e che sfata falsi presupposti basati su prevenzioni ideologiche ed alibi di natura economica. Perseverare nell’attuale contrarietà nei confronti della libertà di scelta educativa significherebbe unicamente dare spazio ad una “patologia suicida” che non produrrebbe altro che gravissimi danni per tutti.

Noi siamo certi, però, che la ragionevolezza e l’evidenza di ciò che è giusto, alla fine, avranno la meglio. Ce lo auguriamo, per il bene intera società italiana.

 

 

 

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