Riprendiamo da dove avevamo lasciato. Parlando dei licei classici, dicevamo della loro sostanziale tenuta in fatto di iscrizioni, del ridotto impatto sul loro assetto esercitato dalla riforma (accolto spesso con sollievo), del rischio di un immobilismo didattico, della crescente attesa educativa delle famiglie, della necessità che la cultura classica sia capace di “aggredire” il presente.
Impossibile, ovviamente, rispondere esaurientemente a tutte le questioni, e mi dichiaro pronto fin d’ora ai rimbrotti senum severiorum.
Proviamo almeno ad esaminare una di esse, e prendiamo le mosse dalla delicata, e non certo nuova, questione del valore della civiltà classica e di che senso possa avere (continuare a) studiarla.
Si può partire, giusto per non perdere di vista l’attualità, da quanto afferma, in proposito, la riforma Gelmini. Il “Profilo educativo culturale e professionale dello studente” (Allegato A del Regolamento), parlando del percorso del liceo classico dice che esso “favorisce l’acquisizione dei metodi propri degli studi classici e umanistici, all’interno di un quadro culturale che, riservando attenzione anche alle scienze matematiche, fisiche e naturali, consente di cogliere le intersezioni tra i saperi e di elaborare una visione critica della realtà”.
Al fine di raggiungere tale obiettivo, il contenuto specifico degli studi classici non è certo insignificante, e il legislatore ne è ben conscio. A proposito del latino, ad esempio, le Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento, se da un canto ricordano il valore più propriamente strumentale dello studio linguistico, grazie al quale lo studente acquisisce “la capacità di confrontare linguisticamente, con particolare attenzione al lessico e alla semantica, il latino con l’italiano e con altre lingue straniere moderne, pervenendo a un dominio dell’italiano più maturo e consapevole”, in termini più ampiamente culturali, assegnano allo studente l’obiettivo di assimilare “categorie che permettono di interpretare il patrimonio mitologico, artistico, letterario, filosofico, politico, scientifico comune alla civiltà europea … confrontare modelli culturali e letterari e sistemi di valori … distinguere e valutare diverse interpretazioni”.
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Appare evidente, pertanto, una duplice caratteristica del percorso del liceo classico; da un canto, la chiara definizione degli obiettivi culturali (“il percorso del liceo classico è indirizzato allo studio della civiltà classica e della cultura umanistica”). Tale prospettiva é pienamente condivisibile così come è da rifuggire, invece, una semplicistica idea di modernizzazione del liceo classico che comporti la riduzione dello spazio offerto allo studio della cultura classica o un’impropria e antistorica “attualizzazione” delle sue modalità espressive. A tal proposito, quello offerto la scorsa estate dalle rappresentazioni classiche di Siracusa non è stato un buon esempio: Aiace muore in pubblico, facendo harakiri su una spada infissa al suolo, con dovizie di rantoli e irrigidimento conclusivo; la scena finale, poi, è da concerto rock, con musica assordante e avvolgente e lingue di fuoco.
D’altro canto, le Indicazioni contengono con pari chiarezza l’individuazione della finalità educativa principale (e tradizionale) del liceo classico; quella, cioè, di fornire agli studenti una capacità di ragionamento astratto, un habitus, un’attitudine formale che, al di là delle specifiche conoscenze e competenze, abiliti lo studente stesso all’approccio con le diverse branche del sapere cui deciderà di dedicarsi dopo la scuola.
Ora, a quali condizioni quest’attitudine formale può essere realmente generata negli studenti? E in che misura l’impegno per questo obiettivo può rivelarsi capace di intercettare la profonda domanda educativa presente in tante famiglie? Il suggerimento metodologico è fornito dalle stesse Indicazioni, e si tratta di una reale e interessante novità.
A proposito della letteratura italiana, ad esempio, viene indicato come obiettivo primario il “gusto per la lettura … come risposta a un autonomo interesse e come fonte di paragone con altro da sé”. A tale obiettivo lo studente giungerà dopo aver (e solo se avrà, ci permetteremmo di aggiungere) “compiuto letture dirette dei testi”.
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Il che, e andiamo velocemente a concludere, pone almeno due problemi. Il primo: chi lo dice di leggersi queste indicazioni agli autori dei libri di testo più in voga oggi al Liceo, i quali sembrano temere più di ogni altra cosa il fatto che uno studente possa avere un gusto e un giudizio propri? Proviamo a guardarle, certe antologie: quale spazio, non diciamo di libera creatività, ma anche di semplice istintiva reattività – di fronte ad una poesia – viene lasciato ad un alunno che deve districarsi tra dati sul quadro storico, riferimenti alla vicenda personale dell’autore, collocazione all’interno dell’intera produzione (produzione!) del poeta, dotta analisi testuale già bella e confezionata, con tanto di individuazione di aree semantiche e relazioni strutturali tra le parti? E tuttavia la poesia, lì, c’è. La seconda questione, allora, è ancor più radicale: c’è il docente che abbia per sé questo gusto della lettura “come risposta a un autonomo interesse e come fonte di paragone con altro da sé”?
Da questo punto di vista, la civiltà e la cultura antica e umanistica (e il liceo classico che alla loro conoscenza è indirizzato) costituiscono non appena un patrimonio immenso, luminoso ma irrimediabilmente perduto ma una ricchissima risorsa, creata da uomini e donne che hannocoltivato e dato espressione artistica e di pensiero profonda e affascinante all’interesse per sé e all’appassionato confronto con la realtà; tale risorsa si offre oggi a uomini e donne, giovani e adulti, che, “come nani sulle spalle di giganti”, possano procedere su quell’appassionante percorso di formazione culturale ed umana che è costituito dall’esperienza educativa e, quindi, anche da quella scolastica.
(Secondo di due articoli)