Nelle scuole superiori del Trentino capita di leggere, tra i tanti tatzebao degli studenti, frasi di questo genere: “la Dalmaso non ci fermerà”, “Marta non siamo a Sparta”, “no alla riforma Dalmaso”. Marta Dalmaso, da Pergine Valsugana, docente di lettere al Collegio Arcivescovile di Trento, è la “ministra” dell’istruzione della Provincia Autonoma. Proprio così. Qui di Mariastella Gelmini non si parla quasi mai. Infatti in Trentino si sperimenta da vent’anni l’unico federalismo scolastico un po’ miracolisticamente apparso nel nostro Paese. Trento, con i suoi 525mila abitanti, è la sola provincia che ha il controllo totale della scuola: strutture, personale, organizzazione del sistema, ordinamenti.



Ai primi di marzo tre ragazzi, con tanto di copricapo da muratore, hanno scaricato due scatole di macerie davanti all’ingresso del “palazzo”, sede degli uffici dell’istruzione: «È così che state riducendo la nostra scuola». La “profe” Dalmaso però, con tratto assai gentile e disponibile, ma forte della sua competenza professionale, della sua lunga militanza nel sociale e, soprattutto, dei suoi poteri, non ha mollato un centimetro e la “sua” riforma del II ciclo è decollata a settembre in tutto il Trentino.



Il federalismo scolastico dunque esiste, anche se ancora si stenta a credere che Viale Trastevere abbia potuto cedere uno dei più bei gioielli di famiglia, visto che il centralismo è il lungo ininterrotto fil rouge del governo scolastico dell’Italia repubblicana, nonostante la legge Bassanini, come ha ben documentato Giuseppe Bertagna.

Fu il Governo di Ciriaco De Mita, con Giulio Amato al tesoro e Giovanni Galloni all’istruzione, che devolse al Trentino le competenze in materia di scuola. Il Dpr 405 del 1988, ulteriormente rafforzato con il D.lgs. 433 del 1996, all’art. 1, recita infatti: “le attribuzioni dell’amministrazione dello Stato in materia di istruzione elementare e secondaria (media, classica, scientifica, magistrale, tecnica, professionale ed artistica), esercitate sia direttamente dagli organi centrali e periferici dello Stato sia per il tramite di enti ed istituti pubblici a carattere nazionale o sovraprovinciale, sono esercitate, nell’ambito del proprio territorio, dalla Provincia di Trento”. E all’art. 2: “sono comprese le funzioni esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato in materia di stato giuridico ed economico del personale insegnante – ispettivo, direttivo e docente – delle scuole ed istituti di istruzione elementare e secondaria della provincia di Trento”.



Quasi uno Stato nello Stato, quindi, per quanto riguarda la scuola. Soltanto nel 2006, però, con una legge quadro provinciale, regnante l’assessore Tiziano Salvaterra da Tione, docente alla Pontificia Università Salesiana, si è messo mano all’ordinamento del “Sistema Educativo di Istruzione e Formazione del Trentino” e lo si è fatto in modo organico e innovativo. Tra le finalità del sistema, in gran parte omologhe a quelle nazionali, figura anche quella di “promuovere la consapevolezza della specialità trentina, la conoscenza della storia locale e delle istituzioni autonomistiche”. Questa della “specialità” trentina è una po’ la chiave di lettura di quanto sta avvenendo in quella provincia di confine. Sempre più in allontanamento dal Paese e sempre più rivolta a Nord, l’ormai ex “italianissima” Trento sogna oggi di diventare il Sud del Sud Tirolo e stringe partnership con Bolzano e con Innsbruck. Bacchettata da un articolo di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera del 21 agosto scorso, l’opinione pubblica locale ha reagito ad una voce difendendo i suoi confini culturali con determinazione davvero  “austroungarica”.

Ma torniamo alla scuola. Il nuovo sistema di governance si articola innanzitutto sulle scuole, cui viene riconosciuta accanto a quella didattica, organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo anche l’autonomia amministrativa e finanziaria. Una bella differenza con quella nazionale. Le scuole sono amministrate dal Consiglio dell’Istituzione, nel quale siedono pure i rappresentanti del territorio, ed hanno un proprio Statuto. Dispongono inoltre di un nucleo di valutazione dell’efficienza e dell’efficacia del servizio educativo, con compiti di analisi e di verifica interni, finalizzati al miglioramento della qualità nell’erogazione del servizio.

Al vertice del sistema provinciale sta l’Assessore, cui fanno da supporto alcuni organismi di partecipazione, per la verità un po’ pletorici, ma soprattutto il Dipartimento, che è la struttura amministrativa centrale con a capo un direttore generale. Vi è poi l’Iprase che si occupa di ricerca e sperimentazione educative, Il “Comitato provinciale di valutazione del sistema educativo” che redige tra l’altro un rapporto periodico sul sistema scolastico. Neonato è il “Centro per la formazione continua e l’aggiornamento del personale insegnante”, cha da pochi mesi sta organizzando un’offerta formativa in servizio, per i docenti e i dirigenti, di tutto rispetto.
Ma a questo punto è lecito chiederci: funziona il federalismo scolastico?

Tutti i dati sono lì a dirci che funziona e funziona bene. Il Trentino è in testa a tutte le rilevazioni internazionali e nazionali. I dati Ocse-Pisa collocano il Trentino sopra la mitica Finlandia che è il paese con la più alta performance in tutte e tre le prove (matematica, lettura e scienze). Ma ciò che più colpisce è che è primo anche in equità del sistema. Basse la differenze, interindividuale, tra diversi tipi di scuola e in funzione del livello economico delle famiglie, come evidenziato dalle recenti ricerche della Fondazione Agnelli. Un obiettivo davvero alto. Si aggiungano strutture di qualità, con il 60% delle aule fornito di lavagne multimediali, tutte di registro elettronico e via dicendo. Ci si metta l’autonomia nella selezione dei dirigenti scolastici e un contratto provinciale per il personale che consente stipendi più alti per tutti.

Ma autonomi sono anche gli ordinamenti. Una Commissione guidata da Michele Pellerey, matematico e docente pure lui dell’Università Salesiana, ha già redatto i “Piani di Studio Provinciali”. Non bastavano evidentemente le tre edizioni nazionali delle “Indicazioni” pubblicate in meno di un decennio, né lo scarso impatto innovativo dei testi ministeriali. Forse l’accanimento terapeutico andrebbe meglio rivolto al “come” più che al “cosa” insegnare. Ma Trento ha voluto fare da sé anche in questo campo. Scelta coraggiosa ancora è l’aver unificato istruzione e formazione professionale, il che, oltre che costituire rispetto del dettato costituzionale, è scelta che avrebbe dovuto fare anche il sistema nazionale e che invece non ha fatto.

Tante rose, dunque, ma non mancano le spine. A parte le battaglie di retroguardia sulla durata dell’ora di lezione, che in trentino rimane di 50 minuti. A parte le ovvie e quasi naturali resistenze all’innovazione. Resta innanzitutto il nodo della spesa e dell’efficienza del sistema. Lo studente trentino costa più di una volta e mezza quello italiano che a sua volta è più caro di quello europeo. Il rapporto allievi-docenti rimane troppo basso e pesano sul bilancio la macchina amministrativa e le complesse sovrastrutture di governo.

Rimane, infine,  il rischio dell’autoreferenzialità e del centralismo. Sì, perché il centralismo non è patrimonio dei soli governi nazionali. A Trento ne sono consapevoli se scrivono, quasi ad esorcizzare il rischio di contagio, che “La forza del sistema trentino viene dalla sua capacità di integrarsi in un sistema più ampio di riferimento, nazionale ed europeo, vincendo la tentazione di credersi autosufficienti quanto a capacità di organizzare modelli istituzionali, contenuti culturali, formazione dei docenti, e garantendo non solo l’autonomia dei singoli istituti ma l’indipendenza del sistema scuola”.