È possibile individuare i “bravi” insegnanti e le “buone” scuole? Questa la domanda cruciale da cui partire se ci si propone di applicare anche alla scuola “la Brunetta”, cioè la legge che prevede la valutazione del personale della pubblica amministrazione, valutazione a cui corrispondono dei meccanismi premiali. Il Comitato tecnico scientifico costituito “per l’elaborazione delle linee strategiche relative alla costruzione di un sistema nazionale di valutazione” (cito testualmente dalla mia lettera di nomina) non aveva e non ha, come si è detto riduttivamente, il compito di attribuire dei premi agli insegnanti, ma le circostanze, e la specifica richiesta del ministro, hanno assegnato a questo tema la priorità nel dibattito.
Le risposte alla domanda iniziale sono sostanzialmente tre: è impossibile; è possibile ma inutile o dannoso; è difficile, ma possibile e potenzialmente utile. Pare chiaro che ci siamo orientati sulla terza risposta, anche perché appare del tutto paradossale che la scuola, cioè l’istituzione che per definizione ha il compito di far crescere le potenzialità, diverse e singolari, dei suoi alunni, valorizzandone tanto l’impegno quanto la riuscita, utilizzi per il proprio personale pratiche di totale appiattimento, e conforta il fatto che le organizzazioni sindacali, finora schierate sulle prime due posizioni, lo abbiano finalmente riconosciuto. È opportuno precisare che non intendevamo abolire i meccanismi di avanzamento legati all’età, o più correttamente all’esperienza, che sono presenti praticamente dovunque, ma affiancarli a criteri di riconoscimento sia della quantità che della qualità del contributo che gli insegnanti danno alla propria scuola, per smentire l’amara osservazione di un’amica dirigente secondo cui “il massimo della carriera coincide con l’Alzheimer”.
Abbiamo dunque, come prima tappa del nostro lavoro, cercato di suggerire al ministro alcune procedure possibili, che di fatto sono state adottate, e mi sembra importante non tanto entrare nel merito delle loro caratteristiche, quanto sottolineare due sostanziali novità della proposta, di cui bisogna riconoscere il merito al ministro Gelmini. Innanzitutto, per la prima volta in Italia, prima di adottare un provvedimento lo si sperimenta per valutarne gli esiti: e poiché c’erano opinioni a favore e a sfavore delle due opzioni possibili (individuare e premiare le scuole di qualità, lasciandole libere di distribuire il premio come meglio credevano, ma esplicitando i criteri, oppure premiare i singoli insegnanti, ma attribuendo alle scuole il compito di individuarli, in base a criteri comuni fissati dal centro) si è deciso di sperimentarle entrambe, per poi compararne, oltre ai risultati, la fattibilità e i costi.
In secondo luogo, le sperimentazioni avviate prevedono un monitoraggio esterno, affidato a tre Fondazioni che svolgono un compito di ricerca e controllo degli esiti dei due diversi progetti, e anche questo è un segnale forte, perché muove in direzione di un abbandono dell’autoreferenzialità che ha finora caratterizzato le – poche – procedure di valutazione presenti nella scuola italiana.
Questa sperimentazione (che, voglio sottolinearlo ancora una volta, non coincide con la valutazione a regime degli insegnanti, su cui peraltro fornirà indicazioni preziose) è coerente, almeno nelle nostre intenzioni, con quello sviluppo della valutazione del sistema che siamo chiamati a suggerire, individuandone le forme e cercando di precisare i compiti e le caratteristiche dei soggetti che dovranno valutarne le componenti (gli apprendimenti, i processi, gli operatori), fornendo contemporaneamente il necessario supporto formativo, e cioè l’Invalsi, l’Ansas e il corpo ispettivo. È chiaro che siamo solo ai primi passi, e che sarà necessaria una seria volontà politica, oltre a un cospicuo investimento, per arrivare a parlare di “sistema nazionale di valutazione”, in particolare per quanto riguarda gli ispettori.
Vorrei aggiungere due ultime considerazioni, che credo siano condivise anche dai miei colleghi in questa avventura: la prima è che se premiare la qualità rappresenta un’acquisizione fondamentale, altrettanto importante sarà garantire un sostegno per il miglioramento delle scuole “deboli”, che spesso sono tali perché operano in un contesto svantaggiato e devono quindi disporre di risorse maggiori, anche formative e progettuali (e penso al ruolo che potrebbe avere l’Ansas se fosse messa in grado di operare valorizzando le risorse presenti sul territorio). La seconda è che, se siamo d’accordo con la centralità degli insegnanti, è necessario avviare da subito un percorso di formazione iniziale e in servizio, di reclutamento e di carriera che faciliti e renda più probabile (probabilmente è impossibile garantirla) la presenza nella scuola di docenti di qualità per cui la valutazione non sarebbe un temibile spauracchio, ma semplicemente un riconoscimento dei diversi livelli di uno sforzo comune per rendere ogni scuola nel suo insieme un vero soggetto educante.