A Londra gli studenti universitari protestano perché hanno aumentato pesantemente le tasse. A Dublino non protestano perché hanno capito che la situazione è grave. Da noi la protesta degli studenti è sostanzialmente suggerita dai professori ed estranea ai loro stessi interessi. Oltre ad avere i toni stanchi di un dejà vu ideologico ha qualcosa di inspiegabile.



Che i baroni protestino è comprensibile. Che li seguano gli studenti è solo un segnale di ritardo culturale. Di fronte a questa riforma una reazione studentesca riformatrice e intelligente, generosa e aperta, è auspicabile e davvero necessaria, mentre si ha sempre più l’impressione che le proteste puntino a conservare lo status quo,una situazione di cui tutti si lamentano!



Ma vorrei andare più in profondità. Cosa ci guadagna e cosa ci perde uno studente dalla riforma? L’aumento della spesa pubblica, quando si realizza mettendo a carico delle generazioni future il deficit di bilancio, non ha niente a che vedere con il bene comune. È importante tenere presente questo principio perché torna utile per commentare la protesta degli studenti universitari (o meglio di una parte di loro che trova amplificazione sui media).

L’università italiana ha due problemi: ha necessità che il Paese investa più risorse pur in presenza di una grave crisi e ha l’esigenza di nuove regole per non sprecare le risorse. Per le risorse ci vogliono leggi di spesa. Per le nuove regole leggi di riforma. Confondere le due cose non aiuta a comprendere i problemi. Dopo il taglio di 1 miliardo e 300milioni di euro dell’ultima finanziaria, la legge di stabilità restituisce all’università 1 miliardo di euro per l’università. In una situazione di grande difficoltà sul piano economico è un segno apprezzabile. Il Presidente della Conferenza dei Rettori, Decleva, ha dichiarato limpidamente che, poiché i pensionamenti liberano risorse nel prossimo anno per 350 milioni di euro, le nuove risorse consentono di chiudere i bilanci delle università senza affanni. Il problema delle risorse è stato ben impostato.



Altro tema è quello di cambiare le regole. Perché cambiarle? Semplice. L’autonomia universitaria varata nel 1989 da Antonio Ruberti si è trasformata in anarchia, sprechi, parentopoli, mancanza di trasparenza, abbassamento della qualità della docenza e via elencando. Pochi esempi per non restare sulle generali.

L’Università di Siena ha gli stessi studenti di quella di Verona, ma il doppio di personale tecnico. E come è noto Siena ha accumulato un buco di ben 150 milioni di euro, non avendo gli atenei l’obbligo di una contabilità economico-patrimoniale. Mentre vigeva il blocco del turn over, l’Università di Messina è riuscita ad aumentare del 290% i suoi professori ordinari negli ultimi 5 anni.

Come ha fatto? Semplice: promuovendo quasi tutti i suoi professori associati a ordinari. E non sono stati i soli.

 

Chi guadagna e chi perde dal cambiamento delle regole? È semplice: perdono le università scorrette e i baroni (in privilegi) e guadagnano i giovani, siano essi studenti, ricercatori o docenti (in diritti e in qualità dell’università). Ma quali sono queste nuove regole che la riforma dell’università contiene e che in larga misura riprendono il meglio delle proposte avanzate negli scorsi anni dalla sinistra?

 

Un nuovo modello di università, aperta al contesto sociale, dove gli studenti valutano i professori, che differenzia la retribuzione sulla base del merito, dove esistono clausole antinepotistiche, che rende più autonomo il ruolo dei Rettori sottraendolo alla mediazione con le corporazioni interne, che distingue chiaramente i compiti scientifici del Senato accademico e i compiti gestionali del Cda – snello ed efficiente – dove siedono autorevoli rappresentanti della società civile, con un sistema di certificazione della qualità dei corsi che garantisce agli studenti il valore reale del titolo di studio.

 

È difficile sostenere che queste novità della riforma “danneggiano” i giovani. L’auspicio è che gli studenti rinuncino al registro conservatore che ha caratterizzato le loro proteste negli ultimi vent’anni. Questa svolta può realizzarsi se si fa largo anche tra gli studenti il senso dell’ingiustizia profonda che tocca loro vivere in un sistema che per premiare i padri ha penalizzato i figli. Con la Riforma si possono liberare le università che lo desiderano da quei lacci e lacciuoli che ne tarpano le ali. Ma far vincere ancora una volta le pulsioni corporative e la paura delle riforme, non sarebbe degno di un Paese che vuole riprendere a crescere.