Un giornalista inglese, da alcuni anni residente in Francia, dove lavora per il Time Magazine e insegna presso il prestigioso istituto parigino di Scienze Politiche (universalmente conosciuto come “Science-Po”) ha suscitato un vero uragano di polemiche, con un saggio sulla scuola. On achève bien les écoliers, pubblicato da Grasset e Fasquelle nello scorso settembre, è un duro attacco, argomentato, lucido e disincantato, al cuore del sistema educativo nazionale, alla cosiddetta “cultura d’aula”, alla professionalità dei docenti d’oltralpe.
Peter Gumbel, che è padre di due studenti che ha voluto affidati alle scuole francesi, non nasconde la sua disillusione. La scuola francese, vista da vicino, è pressoché fallimentare sotto molti punti di vista. Eppure la scuola “laica e gratuita” è iscritta tra i valori fondamentali della République, di cui i cittadini vanno da sempre fieri. “Così come negli Stati Uniti si parla dell’America come di una grande democrazia, in Francia si sente sempre parlare d’educazione come motore dell’ascensore sociale, come il cuore della nazione”.
Ma la realtà è ora lontana dal mito le mille miglia. Ogni anno ben 130mila giovani lasciano le loro aule senza una qualifica o un diploma. I figli della borghesia continuano ad avere il doppio di chance di successo scolastico dei figli di operai. I risultati delle indagini internazionali vedono i francesi in posizioni arretrate rispetto alle note punte di diamante (Finlandia, Corea, ecc). Il 71% degli studenti sono regolarmente soggetti a irritabilità, il 63% soffre di patologie nervose, il 40% soffre di insonnia e via dicendo. Insomma un sistema che fa acqua da tutte le parti.
Per Gumbel la causa principale di ciò va ricercata innanzitutto nella rigida selettività della scuola. “Perché la Francia è il solo paese al mondo a scoraggiare i suoi giovani in nome di ciò che essi non sono, anziché incoraggiarli in virtù di ciò che essi sono”. Partendo dai dati delle ricerche OCSE-PISA, quelli di solito meno osservati perché l’attenzione di tutti è principalmente rivolta alle performance disciplinari (lingua, matematica, scienze), egli nota che i quindicenni francesi ritengono i propri insegnanti piuttosto lontani ed estranei alla loro crescita personale e culturale. Più di un terzo dice che i docenti non danno loro mai l’opportunità di esprimere le proprie opinioni, raramente continuano a spiegare finché gli alunni hanno recepito l’argomento. Il 53% ritiene che gli insegnanti aiutino gli allievi “mai” o solo “qualche volta”.
I giovani si sentono insomma abbandonati e demotivati. La scuola produce in loro ansia e paura per il 61%. Tutti dati che contrastano con ben diversi risultati ottenuti da altri paesi sviluppati dell’OCSE. Per Gumbel “la scuola in Francia, molto più che in qualsiasi altro paese, è un luogo di lotta”. La bocciatura e la ripetenza sono infatti un fenomeno assai diffuso. Troppo. Secondo un calcolo dell’Ufficio di studi statistici sull’insegnamento scolastico, ben il 57% degli studenti ripete almeno un anno. Più di uno su due. Ciò produce un largo fenomeno di demotivazione e scoramento. Nei paesi scolasticamente più accreditati la ripetenza è ormai bandita o statisticamente insignificante. E oltre a produrre “esclusione” e allontanamento il fenomeno costa un sacco di soldi alle casse dello Stato, stimati in 2,2 miliardi di euro per ciascun anno.
Gumbel mette poi sotto la lente il sistema di valutazione francese, strutturato su una scala cha va da 0 a 20. Il voto numerico, che le rigorose indagini evocate mostrano soggettivo ed arbitrario più di quanto si creda, è causa di selezione e mortificazione e non consente di conoscere ciò che gli allievi sanno o non sanno. Gli stessi “mitici” ispettori francesi denunciano ormai apertamente “la tirannia del voto” e “l’ansia quasi religiosa di prendere a riferimento la media e di raggiungere un classificazione”. Le gratificazioni e il sostegno paiono all’autore più efficaci dei voti sul piano pedagogico. Ma “provare a cambiare l’Educazione Nazionale è un po’ una mission impossible”, il sistema resiste al cambiamento, anche se non mancano esperienze innovative ad esempio sul modello della scuola finlandese. Persino la Corte dei Conti ha recentemente ufficialmente affermato che “il numero dei giovani che trovano difficoltà scolastiche medie o importanti evidenzia che il sistema scolastico così com’è oggi concepito non è più capace di rispondere ai loro bisogni”.
L’autore invoca di conseguenza una nuova politica, che egli chiama “delle porte aperte”. Più attenzione alle difficoltà di apprendimento, alle diversità ed alla creatività, più psicologia positiva, più incoraggiamento, abolizione dei voti, nuova professionalità dei docenti, meglio pagati e preparati più sul campo che nelle università. Ed infine una scuola più serena, equa ed inclusiva, che cerca la felicità dei suoi allievi ed offre a ciascuno una seconda possibilità.
Un testo non privo di semplificazioni e di qualche ingenuità, scritto da un non addetto ai lavori, ma che fa pensare perché mette in crisi convinzioni consolidate. E che potrebbe essere scritto anche in Italia e per l’Italia.