161 voti a favore, 98 contrari, 6 astenuti. Il Senato approva e la riforma Gelmini dell’università è legge. Ora manca solamente la firma del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Tornato al Senato dopo il recente passaggio politico che ha rafforzato Berlusconi e la maggioranza di governo, il decreto ha avuto la strada spianata: Fli ha votato con la maggioranza un testo blindato, in modo che non ci fossero emendamenti che richiedevano un ulteriore passaggio alla Camera. Udc e Api si sono astenuti.
Il presidente della Repubblica, che ieri ha ricevuto i rappresentanti delle associazioni studentesche che hanno manifestato in piazza, ha commentato: «ascolto a 360 gradi ma astenendomi dall’esprimere qualsiasi opinione di merito su scelte legislative che appartengono alle responsabilità del governo e del Parlamento».
Per l’università italiana si chiude ora una fase, quella ordinamentale, e se ne apre un’altra: quella dei decreti attuativi, che dovranno permettere agli atenei di funzionare secondo quei principi di autonomia rivendicati dalla riforma, ma che i più «liberali», pur valutando positivamente una riforma attesa da troppo tempo, accusano di perpetuare un impianto di tipo centralista.
«Oggi è stato raggiunto un grande risultato storico e politico» dice al sussidiario Valentina Aprea, presidente della Commissione cultura della Camera. «Essere riusciti a portare a casa una riforma organica così importante, proprio mentre in molti ancora davano il governo in difficoltà, è la dimostrazione che la maggioranza è viva e forte e intende proseguire sulla via del cambiamento del paese».
È vero che ci sono elementi di incongruità nel testo?
«Non è così. Si tratta di aspetti tecnici pressoché irrilevanti, ad esempio la stessa questione viene trattata in modo diverso in più punti della legge, ma sono particolari. O ancora: si modifica una vecchia norma che riguarda lo status di alcuni docenti universitari, mentre in un altro punto questa vecchia posizione viene abrogata. Dettagli che il ministero potrà mettere a punto come primo atto amministrativo e non suscettibili – almeno spero – di mettere in pericolo la promulgazione della legge da parte del capo dello Stato. Tra l’altro il ministero ha già predisposto una serie di decreti che costituiranno la realizzazione effettiva dei principi approvati oggi».
Vuole anticipare qualcosa?
«I più importanti riguarderanno lo sblocco dei concorsi per favorire l’assunzione, a seguito di regolare procedura concorsuale e in tempi brevi, di 1500 professori associati. Questo sarà fatto subito perché la legge parla di 4500 associati da assumere in tre anni a cominciare dal 2011. La seconda questione riguarda l’eccezione alla legge di stabilità (blocco degli scatti per i contratti del pubblico impiego, ndr) e riguarda lo sblocco degli scatti stipendiali, che diventano per la prima volta meritocratici».
È vero che il centralismo vince sull’autonomia?
«Non condivido questo punto di vista, perché la riforma si propone di premiarla qualità e mette gli atenei in condizione di poterlo fare. A parte la snellezza e l’efficacia di alcune norme importanti che si riferiscono all’assetto della nuova governance, il punto chiave sta nella responsabilità. Gli atenei potranno ottenere, in caso di alta efficacia e qualità, un surplus di finanziamenti ordinari e anche la garanzia di maggiori finanziamenti per il personale».
Ma i fondi per attuare la riforma ci sono o no?
«Certo. Le finanziarie del governo avevano inizialmente penalizzato l’università prevedendo una diminuzione di finanziamenti fino a 800 milioni. Non solo quei fondi sono stati ripristinati, ma l’università si vede destinataria di ben un miliardo di euro. Con la razionalizzazione introdotta dalla riforma i soldi potranno essere gestiti diversamente: si potrà risparmiare e migliorare la qualità dei percorsi di studio».
La riforma fa perno sulla valutazione, ma l’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, ndr) è ferma. O no?
«No, quello dell’Anvur è un problema superato perché l’altro ieri sono state pubblicate le nomine. E l’Agenzia comincerà a funzionare regolarmente proprio in concomitanza con l’approvazione della legge. Anvur a parte, non ci nascondiamo le difficoltà di un grande percorso di riforma come quello che ci accingiamo ad intraprendere, però ora le premesse per un cambiamento possibile, e legato a modelli internazionali, ci sono tutte».
Se la sente di fare un bilancio, al termine di questo sofferto percorso?
«Penso che abbiamo impiegato male tutto questo tempo. L’ideale sarebbe stato approvare la legge a luglio: sarebbe stata una legge manifestamente ordinamentale e questo ci avrebbe dato tutto il tempo di valutare i nuovi investimenti con la legge di stabilità e sviluppo dando così gambe migliori ai principi della legge. Invece il protrarsi dei lavori parlamentari, le divisioni politiche e gli ostruzionismi reciproci all’interno delle forze di maggioranza hanno recato danno e ci siamo fatti del male da soli. La confusione tra riforma dei principi e legge di stabilità non ha giovato alla comunicazione della riforma, e questo ha senz’altro influito nella percezione dell’opinione pubblica. ma ormai è inutile piangere sul latte versato. Guardiamo avanti».