Arriva la stagione delle iscrizioni, il periodo in cui i genitori tra mille dubbi e preoccupazioni debbono scegliere il futuro scolastico, e non solo, dei loro figli, ed ecco che, puntuale e preciso, arriva l’attacco alla scuola paritaria. Un attacco utile a scoraggiare gli incerti che trovandosi di fronte alla decisione di investire, anche economicamente, per il futuro dei loro figli, visto che per le superiori non vi è in concreto – salvo la dote scuola – alcun contributo da parte delle istituzioni, si sentono dire che rischiano di farlo in un settore scolastico qualitativamente inferiore rispetto alle scuole di Stato – le quali oltretutto alle famiglie non costano niente.



Il guaio è che ormai il cittadino medio è colpito più dalla percezione che dall’informazione, e spesso si ferma ai titoli senza addentrarsi nella sostanza e nel merito dell’informazione. Questo gli addetti al mestiere lo sanno bene, così come sanno bene che “sparata la notizia” (ripresa e ampiamente diffusa: Liquida, Cisl, WordPress…) e ignorata qualsiasi smentita (tra l’altro mai pubblicate come ci ricorda Luisa Ribolzi nel sottocitato articolo), questa diventa “la verità” che difficilmente riuscirà ad essere sradicata dalla testa di coloro che l’hanno letta, soprattutto quando proviene da media con ampia tiratura nazionale e da tutti creduti come i più affidabili.



Così come non credere a La Repubblica e al Corriere, i quotidiani che hanno la più alta tiratura giornaliera, se nel giro di pochissimi giorni danno, pur in modo diverso, la stessa notizia: “Nella scuola pubblica si impara di più. L’Italia in basso per colpa delle private” titola l’articolo di Salvo Intravaia su Repubblica e “Efficienza e qualità. La scuola statale batte quella privata” titola l’articolo, per la verità più obiettivo del titolo, di Lorenzo Salvia sul Corriere.

Poco importa che ricercatori titolati e che godono della credibilità del mondo scientifico come Luisa Ribolzi, Giorgio Vittadini, su queste pagine e Norberto Bottani sul sito ADI dimostrino l’infondatezza scientifica, l’inaffidabilità del campione, la sua non rappresentatività delle scuole paritarie.



Poco conta che l’ipotesi sia costruita strumentalmente – è la seconda volta in tre anni – come ricordano Giorgio Vittadini e Luisa Ribolzi nel loro articolo; poco conta che si prendano i risultati di apprendimento degli studenti frequentanti i corsi di formazione professionale non statali e si confrontino con quelli degli studenti frequentanti i licei statali, un assurdo da un punto di vista scientifico: l’importante è poter dire che la scuola paritaria non prepara bene, che i risultati di apprendimento ottenuti dai suoi studenti sono inferiori a quelli della scuola statale, “performance addirittura da terzo mondo” nonostante “le scuole private italiane ricevano copiosi finanziamenti da parte dello Stato” afferma Intravaia nel suo articolo. Altro dato infondato, poiché i contributi dello Stato sono riservati pressoché esclusivamente alla scuola primaria ed alla scuola dell’infanzia, e quasi nulli alla scuola secondaria superiore, ma questa è la notizia, questo è quello che interessa trasmettere a genitori e studenti, perché se ne convincano. Tanto qual è la percentuale di genitori e studenti in grado di poter approfondire in proprio per capire che la notizia è priva di fondamento?

 

Poco importa che i dati “oggettivi”, non di un campione, ma dell’intero universo comprendente tutti gli studenti che hanno sostenuto l’esame di terza media, diano risultati opposti e dimostrino che gli studenti delle scuole paritarie sono meglio preparati, come ha ricordato nei giorni scorsi Tommaso Agasisti nel suo articolo su questo quotidiano – dati ufficiali di un Ente Nazionale, l’Invalsi, non dati di parte, citati, a onor del vero, in tre righe, nel finale nell’articolo più pacato di Lorenzo Salvia: l’importante è non darne ampia comunicazione e diffusione, l’importante è che genitori e studenti non sappiano, l’importante è che l’immagine pubblica sia sempre quella: la scuola statale è migliore.

E per di più, prosegue il Corriere “Questi dati – dice ancora l’analista dell’Ocse Francesca Borgonovi – ci dicono che le scuole pubbliche sono più efficienti nonostante abbiano studenti più ‘difficili’, dato il loro livello socio economico più basso, e anche maggiori problemi di risorse”. Poco importa che analisi economiche, studi, pubblicazioni – dossier Agesc tra gli altri – dimostrino con chiarezza che le risorse investite nella scuola paritaria sono irrilevanti rispetto alla scuola statale, e che il costo per alunno è nettamente inferiore.

 

Perché tutto questo? Viene spontaneo chiedersi: qualcuno ha paura della parità e della qualità della scuola paritaria? Perché? È solo un problema ideologico? Le associazioni delle scuole paritarie si stanno sforzando di svolgere la loro funzione pubblica. Solo due mesi fa, in Senato, hanno presentato ed offerto al decisore politico strumenti che, nell’ottica di un unico sistema nazionale di istruzione e formazione, possano servire a lavorare in sinergia con l’unico obiettivo di migliorarne la qualità. I dati di questa ricerca affermano, tra l’altro, come ho ricordato in un mio articolo su queste pagine, che non c’è neanche il timore di “una grande fuga” verso la scuola paritaria, dato confermato qualche giorno dopo da un’altra ricerca di Renato Mannheimer pubblicata dal Corriere, dato che il 75-80% delle famiglie non iscriverebbe i propri figli alla scuola paritaria neanche a costo zero: allora perché?

 

Sembra sempre di sbattere contro un muro, sembra dia addirittura fastidio offrire buone pratiche, modelli organizzativi efficienti e trasferibili, rendersi disponibili a studiare insieme soluzioni che tendano ad innalzare i livelli di apprendimento. Perché? Forse, nell’interesse della scuola italiana, delle famiglie e degli studenti non è giunto il momento di sotterrare l’ascia di guerra e di lavorare finalmente insieme?

 

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