Ogni anno faccio per il sussidiario l’esercizio di formulare dei buoni propositi. Esso mi consente di prendere le distanze dalle urgenze contingenti e di indirizzare uno sguardo meno miope ai mesi che verranno. E allora, via, lasciamoci trascinare dall’ottimismo della volontà (del buon funzionamento del pessimismo della ragione ne abbiamo avuto fin troppe prove) e proviamo a sognare.



“I have a dream…”

Che gli insegnanti la smettano con la cultura del lamento, e recuperino loro per primi il prestigio che pensano di avere perduto, che non dipende (solo) dallo stipendio, ma dalla capacità di riappropriarsi della loro professionalità, rinunciando alla difesa dello scambio tra sicurezza del posto e mediocrità delle prestazioni. Quelli, non pochi, che già lo fanno, abbiano il coraggio di rivendicare il loro diritto ad essere valutati;



Che le famiglie la smettano con la cultura del lamento e la difesa ad oltranza dei loro rampolli, e incomincino a partecipare in modo costruttivo alla crescita di quelle “comunità di pratica” che dovrebbero essere le scuole, in cui la collaborazione fra insegnanti e famiglie porta risultati positivi anche agli apprendimenti dei ragazzi, oltre che alla loro crescita umana e civile;

Che gli studenti la smettano con la cultura del lamento, e capiscano che andare a scuola è un lavoro, serio come qualsiasi altro lavoro, e le cui conseguenze durano per tutta la vita, ma che può essere appassionante se si vive come un momento di costruzione della propria identità;



Che i dirigenti la smettano con la cultura del lamento e si chiedano seriamente che cosa possono fare per trasformare le loro scuole e le reti di scuole in soggetti sociali attivi, in centri di costruzione della cultura e della partecipazione per tutta la comunità;

Che i giornalisti che si occupano di scuola la smettano con la cultura del lamento, e cerchino – oltre a denunciare giustamente limiti ed errori – di valorizzare il tanto di buono che esiste, e soprattutto si documentino su quello che affermano. I dati riferiti alla scuola parrebbero appartenere in massa a quelli che un amico pubblicitario chiamava DFI (dati falsi inventati) per distinguerli da quelli che erano solo DI (dati inventati)…

Che il ministero dell’Istruzione la smetta con la cultura del lamento e realizzi, anche se con dispiacere, che l’autonomia è legge dal 1997, la riforma del titolo V della Costituzione risale all’ottobre del 2001, e quindi il tentativo di scuole e reti di scuole, e di qualche Regione, di operare con una qualche indipendenza dal centro non va considerato come la ribellione delle tribù barbare al Sacro Romano Impero, ma come l’esercizio di un legittimo diritto;

 

Che la cultura del lamento e del “non ci sono abbastanza soldi”, specialità in cui l’Italia potrebbe vincere tutti i titoli disponibili (cinque come l’Inter: Nobel, Oscar, Olimpiadi estive e invernali e campionati del mondo), venga messa in disparte in favore di un approccio più costruttivo in cui, posto che ebbene sì, ci sono meno soldi, si cerchi di trovarne degli altri e perlomeno quelli che ci sono vengano spesi bene.

 

Ma soprattutto…

Sogno che gli esponenti dei diversi partiti, con inconsueta ma non ammirevole unanimità, la smettano di lustrarsi la bocca con la centralità dell’educazione e di accapigliarsi sugli emendamenti per dimostrare che esistono, e facciano, o almeno tentino di fare, un progetto di lungo periodo basato sull’idea che la formazione è un bene comune, su cui si gioca il futuro delle persone e della nazione (alla faccia della retorica!) e su cui vale la pena di investire in risorse umane, finanziarie e soprattutto in politiche educative rigorose che sappiano individuare i principali problemi, stabilire delle priorità e controllare gli esiti.

Buon anno.