Intorno alla scuola – e non solo in Italia – si respira da qualche anno un’aria densa di preoccupazioni e spesso incline a una analisi condotta in negativo. Pur senza chiudere gli occhi di fronte alla realtà, preferisco coltivare sentimenti positivi. Un antico proverbio africano recita: “Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce”. I pur deplorevoli casi meritevoli di denuncia non possono nascondere ciò che funziona bene. Esistono tante ottime scuole e molti insegnanti validi e appassionati.
Mi permetto di invitare tutti, e le famiglie in particolare, a guardare alla scuola in termini realistici e non secondo tesi semplicistiche e precostituite, allo scopo di sfuggire alla tentazione della critica permanente e, al contrario, compiere ogni sforzo possibile per individuare le strategie migliorative più efficaci. Così ci invitano a fare i maggiori esperti che in tutto il mondo occidentale sono impegnati a delineare il futuro prossimo della scuola, senza slanci avventurosi, ma anche senza limitarsi a elencare le cose che non vanno bene.
Cosa dunque suggeriscono in positivo questi esperti?
1. Viene ritenuto improponibile il semplice aggiornamento dei modelli del passato. Gli sguardi soltanto pieni di nostalgia sono poco utili. La scuola del passato impregnata di rigore e severità nell’inimitabile modello gentiliano funzionava egregiamente in una società dove la scolarizzazione secondaria riguardava una minoranza di giovani Italiani. La realtà odierna è assai diversa. Essa è infatti tenuta a rispondere alle esigenze diverse, proprie di una scolarizzazione ampia e diffusa per corrispondere ai bisogni della cosiddetta “società della piena conoscenza”. Rispetto ad essi i nostri standard attuali sono in ritardo se confrontati con quelli dei più importanti Paesi europei.
2. Una serie di nuove situazioni (come la diffusione delle tecnologie, l’affacciarsi nelle aule dei digital natives, le nuove scoperte nell’ambito del funzionamento della mente umana per citare solo i casi più significativi) hanno introdotto potenzialità inedite fino a qualche anno orsono in tema di organizzazione e di gestione delle attività didattiche, aprendo nuove prospettive in tema di apprendimento/insegnamento. Queste novità vanno considerate come un’interessante opportunità e non come un nemico da tenere fuori delle aule scolastiche.
3. Anche nella società della comunicazione digitale non si può e non si potrà fare a meno, in ogni caso, della funzione culturale della scuola: non basta “apprendere ad apprendere”, ma occorre anche “apprendere qualcosa”. Una scuola ricca di contenuti culturali apre alla possibilità che lo studio sistematico e critico delle discipline diventi la strada per aiutare i ragazzi a chiedersi il perché della realtà, il perché del nostro essere comunità, il perché del nostro rapporto con il sapere. In questo consiste il senso educativo della scuola, la sua proposta per far crescere i ragazzi e introdurli alla realtà e difenderli dalla tentazione del “virtuale”.
4. Infine va sempre tenuto presente che la scuola è un “bene di tutti”. Qualche anno orsono era molto frequente sentire parlare della scuola come espressione della comunità nella quale essa operava. Si trattava di una bella ed efficace immagine, ora un po’ sbiadita e sostituita da un managerialismo un po’ asettico impregnato di rilevazioni, dati, statistiche, grafici e percentuali. La nozione di scuola come “bene di tutti” consente anche di superare certe incrostazioni del passato secondo le quali ci sono scuole più scuole – quelle dello Stato – e scuole meno scuole e cioè quelle gestite da Enti e privati. Una scuola che opera nell’ottica del bene generale è prima di tutto una buona scuola, non importa come gestita e tutti abbiamo interesse che le scuole, considerate nel loro insieme, siano delle buone scuole.
Cosa possiamo fare – come genitori, come insegnanti, come persone semplicemente sensibili al senso civico – per recuperare la dimensione comunitaria? La mia proposta è che intorno alla scuola si ragioni nei termini di una “grande alleanza” tra tutti i soggetti a vario titolo interessati al suo buon funzionamento. Le famiglie dovrebbero essere in prima fila. Dobbiamo avere l’onestà intellettuale di riconoscere che non sono soltanto i fondi a disposizione che rendono una scuola più o meno di qualità. Esiste un retroterra di atteggiamenti, di mentalità e di approcci che sono altrettanto e forse anche più importanti. Questa è la premessa perché le stesse scelte politiche – per esempio nel senso del rafforzamento dell’autonomia delle scuole e della valorizzazione della presenza delle famiglie anche sul piano degli aspetti gestionali – abbiano la forza per entrare non formalmente nella realtà scolastica.
Quando penso a una “grande alleanza” per la scuola mi riferisco per l’appunto alla condivisione, per esempio, di un’idea di scuola positiva e cioè educatrice, promotrice di senso, capace di comprendere i giovani, ma anche di farli sgobbare e pretendere il giusto impegno che sempre accompagna le esperienze importanti.
Questa “grande alleanza” è possibile: se i docenti si sentono anche educatori di giovani e non solo bravi e onesti professionisti, se vivono la scuola con passione e impegno e non come un lavoro poco gradito; se i genitori si occupano dei figli che vanno a scuola, ne condividono le difficoltà e stabiliscono rapporti non conflittuali con gli insegnanti; se gli amministratori locali curano gli edifici scolastici, li rendono confortevoli e puliti oltre che sicuri: spesso è più una questione di attenzione e di sensibilità che di spese reali; se l’opinione pubblica, anziché enfatizzare sempre ciò che nella scuola costituisce problema, valorizza anche quanto di positivo viene realizzato direttamente o indirettamente dalla scuola; se ci mettiamo tutti nella prospettiva che perdere l’autobus scolastico oggi significa creare un territorio desertificato sul piano culturale e nessun Paese è in grado sopportare due generazioni di ignoranti.
In un recente discorso il presidente Obama ha ricordato che “nessuna strategia politica è efficace se insegnanti e genitori non sono capaci di fare il loro dovere”. Mi sembra che questo sia davvero il senso che dobbiamo perseguire se intendiamo migliorare la scuola, l’educazione e sostenere i giovani perché siano capaci di vivere in modo autentico la loro avventura umana.