Siamo nel 2010, e tra poche settimane ricorrerà il decennale della Legge 62/2000, che ha riconosciuto nel nostro Paese la “parità scolastica” fra scuole statali e non statali.

In questi dieci anni, apparentemente, poco è cambiato per quelle scuole “private” che, conformandosi agli adempimenti previsti dalla legge, sono diventate paritarie: spesso in affanno, costrette a rincorrere, ad ogni finanziaria, quel minimo di stanziamenti che servono a portare un po’ di ossigeno nelle loro asfittiche casse; frequentemente ignorate dai provvedimenti ministeriali, che continuano a non tenere conto della loro esistenza e della loro specificità.



Eppure la Legge 62/2000 ha avuto un grande merito, che non deve essere ignorato e può diventare il trampolino di lancio per un nuovo e ancora più importante passo: raccogliere la sollecitazione di un movimento di popolo che a gran voce chiedeva – e ancora chiede – che la libertà di educazione, sancita dalla Costituzione, possa diventare effettiva anche nel nostro Paese, al pari di quanto già accade nella maggior parte delle nazioni europee. Ma, per inquadrare meglio la questione, facciamo un passo indietro.



Durante gli ultimi 20 anni del secolo scorso, sono diventati sempre più numerosi i soggetti del “privato sociale” che hanno deciso liberamente di rischiare tempo, professione e denaro nell’avventura dell’educazione, realizzando scuole libere ex novo o subentrando ad enti religiosi in difficoltà (pur preservandone il carisma originario) nella gestione di scuole già avviate. Un’onda di positività, costruttività, passione educativa, che non ha certo bisogno di legittimazioni per esistere, ma che la politica ha sussidiariamente il dovere e la necessità, in funzione del bene comune, di riconoscere e sostenere. Parallelamente, la richiesta da parte delle famiglie di poter scegliere liberamente – cioè senza oneri aggiuntivi – l’istruzione non statale, poiché più conforme alle proprie esigenze educative, è diventata più esplicita e imponente. È riemersa in modo più consapevole, cioè, la presenza di una significativa “fetta” di popolo appassionata al tema dell’educazione, che per sua natura non può essere davvero tale se non è libera.



Quest’importante trasformazione sociale ha toccato il suo apice il 30 ottobre 1999, nella memorabile manifestazione in piazza San Pietro con il Papa, che ha segnato un punto di non ritorno nel dibattito sulla libertà della scuola in Italia. In quella occasione, infatti, il grido “Libertà! Libertà!” ha riecheggiato fino a raggiungere le stanze del Palazzo.

 

È un indubbio merito dell’allora Ministro Berlinguer, aver raccolto tale grido e compreso l’importanza di un riconoscimento del valore pubblico delle scuole nate dall’iniziativa privata. Certamente, come spesso si è detto, la legge 62/2000 è nata zoppa, poiché priva di un sostegno economico anch’esso “paritario”, e questo ha determinato in questi anni tante difficoltà e contraddizioni. Pur tuttavia, essa ha favorito il consolidarsi del riconoscimento (almeno sul piano formale) del valore pubblico del servizio offerto dalle scuole paritarie, dando una motivazione in più, stavolta di tipo giuridico, alle correnti politiche trasversali oggi favorevoli ad una piena attuazione della libertà di scelta educativa. E questo non è poco.

Ora, però, è necessario un nuovo impulso, perché dalle intenzioni si passi davvero ai fatti. Un impulso che favorisca il definitivo superamento di quella artificiosa e dannosa contrapposizione pubblico-privato, che ancora alberga in tanti, troppi discorsi sul sistema di istruzione italiano, soprattutto quando si entra nel merito della questione economica. Forse è il termine stesso “parità” ad essere fonte di ambiguità, perché richiama inevitabilmente il suo opposto e rischia di cristallizzare l’idea dell’esistenza di due soggetti che da asimmetrici dovrebbero diventare simmetrici

Come fare, allora? Lo strumento per il superamento di questa impasse esiste già, e si chiama autonomia. Il nuovo passo può compiersi proprio con l’attuazione di una vera autonomia per tutti, che realizzi un sistema davvero integrato nel quale non esistano più scuole statali e scuole paritarie, ma “solo” istituti autonomi che si propongono alla libera e responsabile scelta delle famiglie e degli studenti. Un sistema composito quanto a Ente gestore – che può essere lo Stato, una Cooperativa, una Fondazione o altro – ma organico quanto a obiettivi, risorse, responsabilità.

 

 

Questo cambiamento di orizzonte rappresenta una necessità ormai inderogabile per tutto il sistema nazionale di istruzione, che ha davvero bisogno di uscire dalle secche prodotte da uno statalismo (condito di abbondante sindacalismo) che dietro la facciata di parole come autonomia, responsabilità, merito, valutazione, continua però a stabilire non solo le regole generali ma pure i dettagli.

Le scuole paritarie, in questo percorso, possono imparare molto dai migliori esempi –e ne esistono- di scuola statale, ma anche offrire un aiuto prezioso: da esse, infatti, è possibile imparare quella autonomia gestionale, didattica e amministrativa di cui la scuola statale ha bisogno ma che ancora le viene negata, a partire dalla possibilità di un libero arruolamento del corpo docente, che è il primo e fondamentale fattore che incide sulla qualità di qualsiasi istituto.

Le scuole paritarie, insomma, sono il modello per il futuro della scuola italiana, e per questo ci sentiamo di affermare che rappresentano un bene per tutti, come recita il titolo del convegno della CdO Opere Educative, che si terrà a Bologna dal 26 al 28 febbraio 2010.

La speranza è che il decennale, con il dibattito, le riflessioni, i contributi che ne seguiranno, rappresenti un rilancio per la Legge 62/2000 e un potente stimolo per portare a compimento –magari iniziando con l’introduzione di strumenti che favoriscano progressivamente una effettiva parità economica- un processo che è partito con grandi premesse ma che, se restasse così e non diventasse piena autonomia per tutte le scuole (statali e paritarie), rischierebbe di ricordare tanto il famoso detto: «la montagna ha partorito un topolino».

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