La trasmissione mandata in onda alcune sere fa da RAI 3, “La scuola fallita”, ha suscitato veementi reazioni da parte di numerosi operatori della settore, per i toni fortemente ideologici e fuorvianti: anche se è indubbio che le difficoltà e i problemi esistono, la scuola italiana non è solo quello che hanno mostrato. Anche noi, come associazione di gestori di scuole paritarie, abbiamo fatto sentire la nostra voce, perché, come abbiamo scritto nel nostro comunicato stampa, “ogni menzogna diffusa pubblicamente è un vulnus alla verità e alla intera società civile”.
Tuttavia, dobbiamo dirlo, qualche merito (pur senza volerlo) la trasmissione l’ha avuto; in particolare, quello di far conoscere ad un vasto pubblico alcuni esempi di scuola di eccellenza presenti nel nostro Paese. Dunque, fare scuola in un certo modo è possibile anche da noi.
Si tratta di scuole paritarie nelle quali si applicano modelli didattici innovativi e si utilizzano strumentazioni tecnologicamente avanzate; istituti forniti di spazi e arredi a misura d’uomo, strutturati in modo funzionale ad un’organizzazione del lavoro razionale e, soprattutto, a far sì che l’apprendimento avvenga in modo efficace e il più possibile personalizzato. Scuole all’avanguardia, potremmo dire, ma che attualmente non sono accessibili a tutti, dato l’impegno economico che richiedono alla famiglia.
Quello che non è stato detto e non è stato fatto vedere, però, è che pur non disponendo tutte di strumentazioni e locali così, e con rette sicuramente più modeste (facendo inoltre di tutto e di più per consentire a chiunque di frequentarla), la maggior parte delle scuole paritarie è tuttavia in grado di offrire standard qualitativamente elevati, garantendo alle famiglie il rispetto dei valori e dell’impostazione educativa da esse considerati fondamentali. I dati OCSE, inoltre, documentano anche che molte di queste raggiungono livelli didattici di eccellenza, realizzando percorsi di apprendimento personalizzati che favoriscono la crescita culturale e umana degli alunni in modo sorprendente. Anche qui i problemi non mancano, lo sappiamo, però è innegabile che certi livelli siano raggiunti.
La trasmissione, evidentemente, era studiata per suscitare nel telespettatore una sorta di sentimento di ingiustizia; quale genitore, infatti, non vorrebbe siffatta scuola per i propri figli? È assolutamente umano e comprensibile un desiderio così, e occorrerebbe fare di tutto per poterlo realizzare. Qual è stata, invece, pur fra le righe, la soluzione proposta (e per questo ci siamo irritati)? Non eliminare l’origine dell’ingiustizia, ma sopprimere la scuola non statale, togliendole ogni possibile risorsa per vivere.
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Per sanare all’origine (per quanto possibile) l’ingiustizia, occorre invece chiedersi innanzitutto due cose:
1. Da dove nasce, e come può essere tolta?
2. Perché le scuole paritarie raggiungono questi livelli e le scuole statali, invece, fanno così fatica?
Proviamo a rispondere alla prima domanda.
L’ingiustizia ha origine in una concezione profondamente irragionevole dell’istruzione/ educazione, per cui si ritiene che solo lo Stato possa adeguatamente educare le giovani generazioni; da ciò consegue la mancata applicazione del dettato costituzionale, che prevede per gli studenti delle scuole non statali (e ciò vale anche dal punto di vista economico) un “trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali” (quarto comma dell’articolo 33 della Costituzione), il diritto di enti e di privati di istituire scuole e istituti di educazione, ma soprattutto il diritto/dovere dei genitori all’istruzione e all’educazione dei figli (terzo comma dello stesso articolo 33 e primo comma dell’articolo 30). Intendendo dunque procedere nella direzione di una effettiva parità, vanno concretamente studiati strumenti di sostegno economico, diretto o indiretto, sia a favore degli istituti scolastici non statali sia delle famiglie. La legge Berlinguer, 62/2000, di cui quest’anno ricordiamo il decennale, è stato un passo importante in questa direzione, ma resta incompiuta, soprattutto sotto il profilo economico. Chi è danneggiato, innanzitutto, da questa situazione? Le famiglie. Famiglie come quelle intervistate nella trasmissione, che parlando di una certa scuola paritaria dicevano mestamente: “bella, bellissima, vedo tutto dalla finestra della mia casa…Ma come faccio a mandare lì i miei figli? Costa troppo!”
Parità significa, innanzitutto, uguali possibilità in ordine alle opportunità di scelta educativa. Parità significa innanzitutto libertà di educazione per le famiglie. Ci sono le risorse? Ormai è noto, lo Stato realizza un enorme risparmio proprio grazie alle scuole paritarie, poiché il costo/alunno è nettamente inferiore a quello speso per le scuole statali. Un risparmio che si aggira intorno ai 6 miliardi di euro all’anno. Vi pare poco? Non converrebbe incrementarlo sostenendo le famiglie nella libera scelta e dando più spazio alla scuola paritaria?
Sarebbe sufficiente, almeno come inizio, introdurre la detraibilità fiscale delle rette scolastiche a livelli significativi. Tra l’altro, volendo fare un conto semplice ma concreto (come fanno le massaie), basterebbe considerare che in Italia il costo complessivo per ogni alunno ammonta a circa 7.000 euro nella scuola primaria e cresce con l’innalzamento del grado di istruzione, dunque né più e né meno delle rette necessarie per frequentare le scuole paritarie presentate nel programma. È così difficile spostare sulle famiglie la scelta di come utilizzare questi soldi?
Seconda questione. Le scuole paritarie sicuramente sono ancora marginalizzate e discriminate, devono continuamente lottare per avere risorse finanziarie (anche quelle di eccellenza), però dispongono di uno strumento formidabile per il proprio sviluppo: l’autonomia.
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Si dirà: anche le statali sono autonome. Non prendiamoci in giro, la vera autonomia è un’altra cosa: è flessibilità nei modelli di governance della scuola; è reale autonomia organizzativa e finanziaria, che implica anche un’indomita capacità di reperimento fondi per sostenere l’opera; è autonomia nell’arruolamento dei docenti, che rappresentano davvero il fattore chiave della qualità didattica; è autonomia nell’identità, per cui la scuola si propone al territorio con un volto e una mission ben precisa, che non è certo quella anonima, omologata e omologante dell’impostazione statale.
È davvero necessaria per tutte le scuole statali quell’autonomia che ancora in Italia non c’è e che invece è così importante per raggiungere livelli di eccellenza (consultando “L’autonomia scolastica in Europa. Politiche e modalità di attuazione”, si evince che in Italia l’autonomia è debole proprio sulle aree che maggiormente incidono sulla qualità della scuola http://eacea.ec.europa.eu/ressources/eurydice/pdf/0_integral/090IT.pdf ).
Autonomia: questa è la strada da seguire. Autonomia per le scuole, libere di scegliere fra diverse modalità di organizzazione educativa e didattica o addirittura di proporne delle nuove, creativamente, per rispondere alle esigenze delle famiglie e del territorio in cui si collocano. Autonomia per le famiglie, libere di scegliere fra le diverse proposte senza dover pagare costi aggiuntivi o subire quanto stabilito centralisticamente da chi pensa di sapere qual è il modo migliore per educare i figli degli altri. Autonomia finanziaria per tutti: scuole statali e non statali, perché tutte possano concorrere all’avventura dell’educazione rischiando in prima persona.
Non è certamente questo il risultato che la trasmissione di RAI 3 voleva ottenere, ma è un effetto collaterale che ha involontariamente suscitato e che ci mostra in modo incontrovertibile la strada per realizzare ciò che anche i curatori della trasmissione (pur in modo distorto) desiderano: una scuola di alta qualità veramente per tutti, statale o paritaria che sia.